“Nella forza dell’abbraccio del Signore siamo al sicuro”

Nella Quinta Domenica di Quaresima la liturgia propone una densa pagina del Vangelo di Giovanni, e proprio su questa ha riflettuto padre Placido nella sua omelia.

È già la terza volta in questa Quaresima che abbiamo l’occasione di immergerci in questa meraviglia che è il Vangelo di Giovanni. Il Vangelo di Marco, che più spesso abbiamo letto in quest’anno liturgico, fa parlare poco Gesù; in Marco tutto è sempre un po’ nascosto, bisogna fare un po’ più di fatica per andare dietro Gesù, ci vuole un po’ più di tempo per farsi rivelare chi sia il Cristo. Il Vangelo di Giovanni viene invece definito euanghèlion pneumatikòn, cioè ‘Vangelo spirituale‘, ma anche ‘Vangelo adatto agli spirituali‘: San Girolamo consigliava di leggere questo Vangelo quando si è vecchi, perché solo allora si potrà comprenderlo”.

Un Vangelo particolare, dunque, che si differenzia dai tre sinottici, e lo fa anche nel suo disvelare subito che Gesù è il Cristo: “Quello di Giovanni è un Vangelo a cielo aperto, dove tutto viene subito chiarito: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!», dice subito la voce del Padre dal cielo (Gv 12,28). Il Vangelo di Giovanni è un Vangelo contemplato e contemplativo: quando fu scritto la Chiesa già era da qualche anno in cammino, già c’erano le comunità; allora Giovanni vuole dire ai suoi che anche se Gesù non è più sulla terra, lui in realtà è sempre vivo e presente in mezzo ai suoi“.

Dire che Gesù nel Vangelo di Giovanni si disvela da subito come il Cristo significa dunque mostrarlo fin da subito sempre presente in mezzo al suo popolo: “Ecco la forza del Gesù giovanneo, e quanto abbiamo bisogno di questa forza! Come c’è bisogno di sentire che Gesù è vivo e presente! Di questo Signore abbiamo bisogno, ed è lo stesso motivo che spinge i Greci citati nel Vangelo a dire: «Vogliamo vedere Gesù» (Gv 12,20,-21). I profeti l’avevano detto che all’avvento del Messia da tutti i popoli sarebbero venuti ad adorarlo. Così si sono mossi questi Greci, che si avvicinarono a Filippo e poi Filippo lo riferisce ad Andrea, e i due insieme vanno a dirlo a Gesù”.

Questo passaggio, da Filippo e Andrea a Gesù, ha offerto a padre Placido l’occasione di riflettere su come Dio desidera comunicarsi all’umanità: “Mentre tutti gli altri apostoli hanno nomi ebraici, Filippo e Andrea sono gli unici due con un nome greco, e così questi Greci vanno da chi ha il nome greco, perché sanno di poter essere compresi, e sono poi Filippo e Andrea ad andare a parlare a Gesù. Siamo davanti a una mediazione, e io non so perché il Padre buono abbia scelto che ci siano sempre delle mediazioni, forse perché è qualcosa di umano; forse Dio avrebbe potuto metterci tutto in testa, o meglio nel cuore, ma ha voluto diversamente, ha voluto che tra noi ci fosse incontro, ha voluto darci libertà. Allora siamo noi questi apostoli, siamo noi che dovremmo avvicinare i greci, cioè i lontani, quelli che magari hanno la curiosità di vedere Gesù”.

Siamo noi dunque gli attori della mediazione, a noi il Signore dà questo grande compito; possiamo però chiederci in che modo possiamo svolgere questo compito: “Di fronte a coloro che anche oggi ripetono: «Vogliamo vedere Gesù», dovremmo renderci conto di quanto è importante il modo in cui ci ritroviamo a celebrare, come preghiamo, come stiamo insieme. Infatti è come se nel mondo aleggiasse una domanda: «Vogliamo vedere Gesù», e dove dovrebbe andare chi ha questo desiderio se nelle nostre chiese questo Gesù non si vede, se nelle nostre famiglie non lo si trova, se quando siamo insieme non si coglie che c’è qualcosa di più di quel che si vede con gli occhi, se nel modo che abbiamo di trattare le cose di questo mondo non si vede che abbiamo una speranza più grande?”.

Non tanto e non solo nel nostro parlare, dunque, quanto piuttosto nel nostro vivere dovremmo porci l’obiettivo di essere mediatori tra l’umanità e il Signore: “Quelli che vogliono vedere Gesù, hanno il diritto di trovarlo in noi: questo, in fondo, ci dice il Vangelo di Giovanni. Ma ci dice anche che essere mediatori di Gesù non significa mostrarlo sempre nella gloria: «Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,24); non possiamo far vedere Gesù in una glorificazione continua: bisogna passare attraverso l’umiliazione, la fatica, la quotidianità, ed è proprio lì che portiamo molto frutto“.

Se lo vogliamo, possiamo dunque essere sempre mediatori del Cristo, anche nei momenti di prova: “Non dovremmo mai temere, perché, dice Gesù, «quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32). Questi che stiamo vivendo sono proprio i giorni in cui ci prepariamo a vedere Gesù innalzato: sentiamo questa forza di attrazione, superiamo le difficoltà! Quanti timori, quante paure quante agitazioni: abbandoniamole, perché il Signore ci sta attirando a sé! Non dobbiamo avere paura, perché nella forza dell’abbraccio del Signore siamo al sicuro! Ringraziamo il Signore, contenti di poterlo incontrare nella Parola e nei Sacramenti!”.