La Diocesi di Trento, l’Unità Pastorale e la comunità di Cloz nella scorsa settimana hanno ricordato don Silvio Franch, nativo appunto di Cloz, a vent’anni della morte.
Tale ricordo ha raggiunto il suo apice con la Messa di domenica 13 giugno nella chiesa di Santo Stefano presieduta dall’Arcivescovo Lauro: di seguito la trascrizione della sua omelia, che, partendo dai brani della Scrittura proposte dalla liturgia in questa XI Domenica del Tempo Ordinario, ha ricordato don Silvio e, considerando il suo impegno incredibile per il dialogo ecumenico, ha inteso ispirare anche il cammino della Chiesa trentina oggi.
Dopo l’omelia, poi, il collegamento all’articolo dedicato dal sito diocesano alle iniziative in ricordo di don Silvio Franch, con la video-registrazione del convegno svoltosi in Sala Incontri (Cloz) venerdì 11 giugno.
“Non occorre essere un botanico per sapere che i cedri non si possono trapiantare, come invece capita per altre piante. Perché allora il profeta Ezechiele (17,22-24) presenta una visione nella quale avviene proprio questo inverosimile trapianto di cedro?
L’obiettivo del profeta è quello di rassicurare il popolo in esilio, che non vede prospettive: anche in questa desolazione il braccio del Signore non si è accorciato, il Signore può l’inimmaginabile, con Lui il deserto può diventare un giardino e la roccia può diventare acqua che zampilla! Il profeta, nell’ora della desolazione, con un’immagine inverosimile e senza esitazione fa coraggio al popolo: non abbiate paura, il Signore vi libererà e vi riscatterà!
Don Silvio Franch, nella sua interpretazione di vita, è stato un inguaribile ottimista: percorreva vie che agli altri sembravano impossibili, ha saputo sognare mentre gli altri erano seduti e rassegnati, e in questo modo ha dato un contributo incredibile al cammino ecumenico che ha visto protagonista la nostra Chiesa, fino al punto che, nel momento più basso delle relazioni tra la Chiesa di Roma e il Patriarcato di Mosca, don Silvio era rimasto l’unico interlocutore a cui Roma stessa si rivolgeva per poter parlare col Patriarca di Mosca.
Don Silvio è stato l’incredibile protagonista di questo dialogo ecumenico, e ha potuto essere tale perché lo sorreggeva una fede incrollabile nelle possibilità di Dio. Così oggi io, come Vescovo, nella comunità che gli ha dato i natali, in un’ora triste come quella del popolo in esilio, mentre la pandemia continua a essere presente e a creare problemi, io oggi ho il dovere di dire a voi, e con voi anche a tutta la nostra Chiesa: coraggio, coraggio! Il profeta Ezechiele poteva permettersi, in mezzo alle macerie dell’esilio, di essere protagonista di speranza; per noi, che abbiamo visto Gesù di Nazaret, il suo morire, il suo donarsi senza Misura; noi, che abbiamo davanti agli occhi l’incredibile interpretazione di vita data da Gesù di Nazareth, una vita fatta di nascondimento e di narrazioni meravigliose come quelle delle parabole presentate dalla liturgia di oggi, piene di bellezza e futuro; noi, che abbiamo visto Gesù di Nazareth, non abbiamo il diritto di non sperare: i cristiani sono prigionieri della speranza!
A noi non è concesso alzare bandiera bianca, in quanto abbiamo visto la morte e la risurrezione di Cristo e abbiamo assistito all’effusione dello Spirito! Noi cristiani abbiamo il dovere e il compito di non venir meno mai alla speranza! Significativamente il cardinal Martini, quando parlava del peccato, lo definiva proprio ‘la morte della speranza’: sì, perché in fin dei conti la caratteristica del peccato è proprio la mancanza di speranza.
Dobbiamo essere onesti: nelle nostre comunità c’è il peccato perché manchiamo di speranza, perché siamo tentati di dire che ormai siamo ai titoli di coda, che non c’è più niente da fare. Per guarire questa carenza di speranza utilizzo la bella immagine che presenta la piccola parabola iniziale del Vangelo odierno (Mc 4,26-34): il seme da solo produce frutto. Uscendo dall’immagine possiamo capire che Dio veramente è incredibile; e mentre noi ci attardiamo a fare ragionamenti pieni di calcolo, mentre noi guardiamo se la chiesa è piena o vuota, mentre noi andiamo a studiare se possiamo ritornare ai fasti del passato, mentre noi ci concentriamo sui numeri e sogniamo di avere chiese piene; mentre noi facciamo tutto questo, il Signore della vita, a tutte le latitudini e anche nelle nostre comunità, genera uomini e donne del Vangelo, uomini e donne che vivono seminando e non raccogliendo, uomini e donne che hanno scoperto che seminare e donare e regalare la vita è già raccogliere.
In altre parole, il Dio della vita, a tutte le latitudini e anche nelle nostre comunità, genera i suoi discepoli, i discepoli di Gesù di Nazareth, cioè genera uomini e donne che al raccogliere sostituiscono il seminare, al mantenere il donare, e ritengono paradiso vivere per il dono di sé. Di più: vivono proprio per donare se stessi! E arrivo a dire una cosa pesantissima, che forse qualcuno potrà contestare, e magari anche a ragione; ma certi sogni che abbiamo per la nostra Chiesa, sogni che vanno indietro nel tempo contemplando chiese piene e grandi strutture piene di persone, tanti di questi nostri sogni sulla chiesa sono sogni già vecchi quando nascono, perché sono sogni di potere; noi sogniamo l’antico tempo, quando eravamo riveriti, potevamo gestire le persone, eravamo zona di potere; noi rimpiangiamo l’ora in cui nei paesi e nella società, tra le grandi autorità che dominavano, accanto al maestro e a qualche politico, c’era il parroco. Quel sogno lì non è mica ancora morto: lo abbiamo noi preti e anche alcuni altri cristiani.
Ma quel sogno non è evangelico: noi non dobbiamo sognare per il futuro di tornare ai fasti del potere! Dobbiamo sognare per il futuro uomini e donne che vivano il Vangelo, sentendo che è vincente regalare la vita, donarla agli altri, e non c’è bisogno di una paga per il dono, perché il dono è già appagante per se stesso. Io sogno per il futuro della nostra Chiesa non oceaniche folle, non grandi strutture; non sogno neanche di tornare al fatto che bussino da noi per avere le indicazioni per la vita. Io sogno una Chiesa umile, semplice, una Chiesa fatta di uomini e donne che si guardano negli occhi e si stimano; fatta di uomini e di donne che quando si guardano attorno non vedono competitor, ma fratelli e sorelle; fatta di uomini e donne che non hanno bisogno di essere applauditi per i propri meriti e di ricevere il ‘grazie’ del mondo, ma sentono che niente è più appagante che amare, spendersi per gli altri.
Don Silvio, nella sua attività a servizio dell’ecumenismo, ha ottenuto grandi risultati perché ha seminato lì dove gli altri lo sconsigliavano di seminare, ha investito in fiducia mentre gli altri lo invitavano a stare attento a farsi ingannare, ha investito in amore anche lì dove trovava il muro della presa di distanza. Don Silvio era un personaggio vulcanico, pieno di incredibile creatività, genialità, umorismo; però non ha usato per se stesso queste sue caratteristiche, bensì a servizio della Chiesa, per seminare fiducia dove gli altri dicevano basta.
E allora sia benedetto Dio, che ci ha dato don Silvio! E grazie alla comunità di Cloz, che ha voluto ricordarlo! Portiamoci a casa oggi, da don Silvio, la beatitudine di un Dio che dice: ‘Coraggio! Io cammino con te!’. E sogniamo non una Chiesa forte, ma una Chiesa amica degli ultimi, una Chiesa che ha un’unica cosa da difendere: il dono, la gratuità, il regalo di sé! Una Chiesa che sa che questo dono serve per vivere potrà incontrare quel Dio meraviglioso che è Gesù di Nazareth, quel Dio meraviglioso che attraverso Gesù di Nazareth ci dice di avere coraggio. Abbiamo un solo Padre e noi siamo tutti fratelli e sorelle: il cristianesimo è semplicissimo, e al massimo siamo noi che l’abbiamo complicato; torniamo a respirare il Vangelo semplice e a vivere il dono!”.
Qui di seguito il link all’articolo del sito diocesano sulle iniziative in ricordo di don Silvio Franch:
A vent’anni dalla morte di don Silvio Franch: le iniziative del Comune di Novella e Diocesi