“Perseverare nella preghiera fino a entrare nella logica di Dio”

Nella XXIX Domenica del Tempo Ordinario al centro della liturgia sta il brano del Vangelo di Marco (10,35-45) nel quale due discepoli chiedono a Gesù di poter sedere alla sua destra e alla sua sinistra nel suo regno; dalla risposta di Gesù, inserita nel contesto di ciò che è avvenuto prima di questa pagina e di ciò che avverrà dopo, parte la riflessione del parroco padre Placido:

“Sorelle e fratelli cari, eccoci anche oggi insieme alla Parola di Dio, una Parola che è sempre viva, a tratti bruciante e a tratti consolante: ho sempre un po’ la preoccupazione di non sminuirne la forza e al tempo stesso di oscurare quel senso di consolazione e di incoraggiamento che sempre ci deve dare la Parola di Dio.

Sono alcune settimane che stiamo camminando con Gesù lungo la via: è lungo la via che Gesù si rivela e, poche righe prima di quelle che ci propone la liturgia, per la terza volta Gesù dice che sta andando a Gerusalemme a morire e che lì sarà abbandonato da tutti e ripudiato, ma poi, dopo tre giorni, risorgerà. E alla terza volta in cui Gesù afferma questo per la terza volta i discepoli si mostrano incapaci di accogliere questo messaggio: ricordiamo Pietro, che rifiuta inorridito quest’annuncio, e poi la discussione dei discepoli su chi sia il più grande.

Nel momento presentato dal Vangelo di oggi a parlare sono Giovanni e Giacomo, che in fin dei conti dicono: Signore, noi vogliamo che tu ci faccia quello che vogliamo noi! Amici cari, una preghiera che vuole imporre a Dio il nostro punto di vista non è preghiera: non bisogna perseverare nella preghiera fino a quando Dio non accoglie il nostro punto di vista, bensì bisogna perseverare nella preghiera fino a quando noi non entriamo nella logica di Dio, nella logica del suo amore!

Questa è la vera preghiera perseverante, perché alle volte la grazia che hai chiesto non l’hai ottenuta, ma sei entrato in una dimensione altra: avevi chiesto la grazia per il tuo papà o la tua mamma, perché guarissero, e magari il Signore li ha presi con sé, ma tu entri in una dimensione altra, nella quale loro sono ancora con te, non ti hanno abbandonato, ma anzi continuano anche più di prima a essere presenti.

Ecco la preghiera perseverante che converte il cuore! E oggi qual è la conversione che ci è chiesta? Gesù risponde ai due discepoli: siete disposti a bere il calice che io bevo? Bisogna considerare che nelle cene ebraiche il capotavola prendeva il calice e poi lo dava da bere al commensale più importante, che poteva essere magari il figlio più grande o un ospite particolare, per cui bere lo stesso  calice significava essere in sintonia, riconoscere la presenza dell’altro, il suo valore. Soltanto che questo calice è qui anche quello di cui di lì a poco Gesù parlerà nel Getsemani: ‘Passi da me questo calice’: Gesù, siccome ama i suoi e ne riconosce il valore, dice: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete», e tuttavia solo al Padre sta scegliere chi sta alla sua destra e chi alla sua sinistra.

Quanto ci insegna Gesù! Quanta umiltà! Proprio lui, che è Dio, dice: lasciate fare a Dio! Quant’è grande questo insegnamento del Maestro: noi, che non siamo niente, non lasciamo fare a Dio; Cristo, che è Dio, dice: deve fare il Padre, decide il Padre, mi fido di quello che decide lui! Che bella preghiera!

A questo punto Gesù si ritrova ancora al centro di una disputa, quasi di una rissa: «Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni»: gli altri discepoli vogliono insomma anche loro i primi posti: tutto il discorso sulla sofferenza non l’hanno sentito, ma siccome Gesù ha detto che risorgendo sarebbe entrato nel suo regno eccoli a pensare subito ai posti che potranno avere in quel regno! Questo è quello che interessa, come accade a certi cristiani – e ognuno pensi a se stesso – che alle volte non consideriamo la fatica inevitabile della vita, della nostra fede, il bene che abbiamo fatto; no, perché tanto, ci diciamo, poi c’è il paradiso e si muore ed è tutto a posto… Calma, calma, bisogna condividere col Maestro anche un po’ di fatica, un po’ di generosità, un po’ di amore, un po’ di perdono: allora si entra nella sua gloria!

Gesù a quei discepoli che litigano fa un discorso sul potere che è rivolto a tutti noi: infatti l’ego del potere è uno dei più difficili da sradicare; alle volte uno riesce a sradicare l’attaccamento al denaro, ed è già faticoso, ma l’ego del potere, di prevalere, di avere un’immagine che si impone, quello è un ego difficilissimo da sradicare! Proprio di fronte al Cristo che dice che va a morire in croce siamo capaci di chiedergli di stare in un buon posto! Il mio Dio va a morire e io penso solo ad elevarmi!

Guardate che è una peste, è un demonio terribile, e non a caso il Papa continua a richiamare al fatto che la Chiesa è ancora troppo piena di potere: finché sei in formazione puoi anche accettare di essere bravo e di stare in disparte, ma pensi già che poi dovrai fare strada: è un demonio terribile! E cosa fa il Cristo contro questo demonio? «Gesù li chiamò a sé» dice il Vangelo: questo demonio si vince stando vicino al Cristo, perché presso di lui vedi come si serve, lì vedi cosa vuol dire voler bene! Noi come i discepoli continuiamo a guardare i grandi del mondo: si sa che quelli dominano! «Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

La lezione del servizio è quell’amaro che diventa dolce: un poeta indiano ha scritto dei bellissimi versi su questo: ‘Sognai e vidi che la vita era gioia; mi svegliai e mi accorsi che la vita era servizio; cominciai a servire e mi accorsi che il servizio era gioia’. Amici cari, dobbiamo fidarci: le logiche del mondo, il potere, il denaro, l’arrivismo non danno felicità! Possono dare un po’ di falsa brillantezza, danno certo forza al nostro ego, ma serve altro per dare la pace!

Madre Teresa di Calcutta scrive: ‘Il frutto del silenzio è la preghiera; il frutto della preghiera è la fede; il frutto della fede è l’amore; il frutto dell’amore è il servizio; il frutto del servizio è la pace del cuore’. Cominci dal silenzio e attraverso la preghiera, la fede, l’amore e il servizio arrivi ad avere pace nel cuore. Dobbiamo affidarci, perché tutto intorno a noi, e alle volte anche sotto i nostri tetti, tutto grida al contrario: sembra sempre più lodato chi è più avanti, mentre pace e serenità è addormentarsi la sera benedicendo Dio, dicendogli grazie, perché anche in quella giornata abbiamo fatto un po’ di bene! Ognuno si riservi attimi di silenzio con Dio e lo ringrazi per il servizio che gli permette di fare ogni giorno!“.