L’ultima domenica dell’anno liturgico è intitolata a Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo. Il Cristo è dunque proclamato Re; ma come va intesa questa regalità? Il brano di Vangelo della liturgia offre una chiave di lettura: è l’episodio della crocifissione. Da questa evidenza è partito padre Placido nella sua riflessione. Ecco le sue parole:
“Com’è bello poter sapere che tutto quello che abbiamo vissuto, il bene e il male, le fatiche e le gioie, nella vita e nella morte, tutto viene portato ai piedi della croce dove è stato innalzato il nostro Re. E capiamo subito che questa regalità viene definita così solo prendendo a prestito una parola che nel mondo ha tutt’altro significato. Il nostro Re si differenzia totalmente dai re di questo mondo: il Cristo è colui che sceglie come proprio trono il legno della croce, colui che anziché mostrare la sua regalità come la vorrebbero coloro che gli dicono: ‘Se sei re salva te stesso’, anziché fare questo il Cristo mostra che è venuto a portare una regalità che non è quella di chi pensa solo a se stesso, ma di chi dona la vita per gli altri.
Allora oggi noi portiamo a questa croce anche le nostri idee sbagliate su Dio e sul Cristo, questo Cristo a cui diciamo di credere, ma che poi spesso lasciamo lì da solo: oh, certamente è il Re dell’universo, ma non abbastanza potente perché io possa fidarmi, non abbastanza grande perché lo lasci regnare nella mia casa, non abbastanza importante perché io gli dedichi il mio pensiero e la mia preghiera! Dobbiamo badare a noi stessi: dirsi cristiani non dev’essere solo un flatus vocis. Gesù Cristo è il Re dell’universo!
Sotto la croce c’erano coloro che davvero lo avevano amato e conosciuto come proprio re; e poi c’erano gli altri che invece lo disprezzavano e pensavano che quello fosse il segno della sua totale sconfitta. Come siamo bravi tutti quanti ad additare ogni umana fragilità, ogni fallimento, ogni povero, ogni naufrago come una persona colpevole! Come siamo bravi! Abbiamo cominciato da sotto la croce e continuiamo a farlo! Ma se riconosciamo la regalità di questo Dio ecco che allora impotenti ai piedi della croce diciamo: ‘Signore, cosa possiamo fare per te?’. Ed egli con un filo di voce ci risponderà: ‘Qualunque cosa farete, anche la più piccola, per questa povera umanità, l’avrete fatta a me’.
Allora questa croce ci accompagna ogni giorno e ogni giorno porta sollievo, perché ogni giorno c’è qualche povertà alla quale andare incontro. E noi non sentiamoci re se non abbiamo piegato le ginocchia, se non ci siamo inginocchiati di fronte a questa umanità così affaticata, così priva di senso. Ed evitiamo di giudicare, perché sotto la croce c’erano tutti a giudicare, dal popolo alle autorità religiose. Grazie a Dio non saranno gli uomini a giudicarci!
Allora dubitiamo di ogni fama e gloria che viene dagli uomini! Il nostro Re è nell’incontro personale con chi dice: io soffro e ho fatto tanti errori in vita mia, ma anche tu stai soffrendo e non hai fatto nulla di male. Lì nasce la preghiera più bella, quando smettiamo di fare domande, quando la finiamo di chiedere perché; viene il momento della vita in cui smettiamo di fare domande e diciamo: Signore, come è andata io non posso capirlo, non ho tutte le spiegazioni, ma non ti chiedo più il perché, perché tu sei il mio perché, tu sei il senso di tutto e io mi fido.
E da questa preghiera, la più bella, nasce la più bella promessa: ‘In verità io ti dico: oggi con me sarai in paradiso’. Una volta si leggeva: ‘Oggi sarai con me in paradiso’; ma così, come è tradotto oggi, è più bello: oggi, adesso, se tu sei con me, allora sei in paradiso, hai già raggiunto lo scopo della vita. Ecco il re che piega il capo per ascoltare la nostra preghiera e guardarci ancora una volta e incoraggiarci. A questo Re affidiamo tutta la nostra vita, pronti con lui a rivivere i grandi misteri del suo amore e della sua grazia”.