“Era un tempo difficile quello in cui il profeta Elia si recò nel villaggio di Sarepta di Sidone: da tre anni il cielo si era chiuso e proprio lui aveva profetato questo e il cielo si era chiuso perché gli uomini avevano chiuso il loro cuore a Dio. Però, in quel tempo difficile, il profeta era riuscito ad assicurare a una donna e al suo bambino il pane.
Quel villaggio, Sarepta, anche se ha cambiato nome, però esiste ancora: è nel Libano del Sud e pochi giorni fa il suo sindaco ha dovuto comunicare il conto delle vittime del bombardamento israeliano. Leggendo questo pensavo che, in un tempo di desolazione, l’uomo di Dio seppe portare conforto e aiuto a una vedova e al suo bimbo; oggi invece, in un tempo di benessere, chi non viene da Dio, e forse non ha nemmeno più un Dio, porta solo desolazione e morte. Qui c’è una chiara indicazione di che cosa sia l’autentica profezia: il profeta può anche ignorare cosa accadrà domani o tra un anno, ma chi è veramente profeta in Dio non può mai ignorare ciò che sta accadendo adesso, non può esimersi dal leggere e dal capire, dall’intuire la situazione attuale per poter farvi fronte. Il profeta vede e soffre e capisce e aiuta; chi è violento non vede e non gli importa niente e crea sofferenza e morte.
Ecco l’insegnamento del profeta: non ci sarà chiesto perché non siamo riusciti ad anticipare gli eventi futuri, ma ci sarà chiesto conto se non avremo anticipato quel tempo futuro in cui tutti saremo in Dio pacificati aiutandoci gli uni gli altri. Questa è la profezia che ci serve, quella che non può esimerci da una lettura autentica, libera e per quanto possibile limpida di ciò che accade. E davvero dobbiamo essere attenti, perché anche il nostro cuore si smarrisce in una narrazione fasulla che ci ottunde la mente e non sappiamo più distinguere il bene dal male. Ma dobbiamo sapere per certo che dove c’è aiuto e sostegno del debole c’è il bene e dove c’è sopraffazione, magari anche orridamente motivata da ragioni religiose, lì Dio non c’è.
Quel villaggio allora diventa così attuale, perché è ogni luogo dove possiamo trovare chi ci chiede un aiuto, una mano, qualcuno che ha bisogno. In questi giorni, andando a portare un po’ di mele e altri prodotti, abbiamo visitato piccole realtà, una dozzina tra monasteri e conventi; forse non erano situazioni così povere come quella della vedova e di suo figlio nella prima lettura, ma vedere queste sorelle che ringraziavano, e più per il gesto che per la quantità di ciò che abbiamo potuto dare, ci fa capire come in ogni luogo possiamo trovare povertà e situazioni difficili e sempre possiamo fare del bene, anche con piccole cose. Gesù nel Vangelo mostra che la vedova non ha grandi cose da dare, solo due spiccioli, ma ciò che quei due spiccioli rappresentano fanno sì che lei nel tesoro di Dio getti non qualcosa di materiale, bensì la sua stessa vita. Lei dà tutta la sua vita e se leggiamo bene il Vangelo notiamo che sembra che lei non si sia nemmeno accorta che Gesù la guardava e quindi non si è aspettata di sentirsi dire che è stata brava: quella vedova ha donato e se n’è andata senza sapere nulla, ma avendo compiuto la volontà di Dio.