“La ragione ci rende somiglianti a Dio”

Come ogni giovedì, anche nella memoria liturgica di San Tommaso d’Aquino il parroco padre Placido ha voluto far riflettere un po’ più a fondo i fedeli nella Messa rispetto agli altri giorni feriali. E l’occasione è venuta proprio nel ricordo del grande dottore della Chiesa.

“Il pensiero stasera guarda a San Tommaso d’Aquino, figlio di conti, quindi di famiglia nobile e anche ricca; e i genitori, per avviarlo alla carriera ecclesiastica, lo mandano a Montecassino, perché entri nell’ordine benedettino”, ha detto il parroco. Ma non era quella la sua via; stavano nascendo infatti in quegli anni gli ordini mendicanti di San Francesco e di San Domenico, “una forma di vita religiosa strana, del tutto nuova – l’ha definita padre Placido – alternativa sia ai sacerdoti diocesani sia ai monaci, come appunto i benedettini”.

Tommaso incontra questa forma di vita e l’abbraccia, decidendo di seguire San Domenico e diventando quindi frate predicatore: “Studia così teologia a Bologna e poi a Parigi, dove aveva la cattedra di teologia Sant’Alberto Magno e dove i compagni di studi di Tommaso lo prendevano in giro: era molto corpulento e stava sempre zitto, e così lo chiamavano ‘il bue muto'”.

Un appellativo non molto lusinghiero, ma che quel suo grande insegnante poté ribaltare: “Si racconta che una volta Alberto Magno, entrando in classe  e sentendo che Tommaso veniva appunto chiamato ‘bue muto’, pronunciò parole profetiche: arriverà il giorno in cui i muggiti di quel bue li ascolterà il mondo intero!”.

Sarebbe stato così, in effetti, e il motivo sarebbe stato la grande lucidità del pensiero teologico di San Tommaso: “La sua – ha sintetizzato il parroco – fu una riflessione basata sull’osservazione della realtà, che significò tenere insieme fede e ragione, fides et ratio“. Sembrerebbe una contraddizione, almeno per il modo di pensare consueto, che contrappone fede e ragione, e per cui tenerle insieme sarebbe esattamente l’opposto della realtà. In realtà, ha affermato il parroco, “non siamo ancora usciti da questo equivoco per cui se hai fede devi rinunciare alla ragione e se hai la ragione non puoi avere fede: questa è una follia! In realtà proprio il fatto che siamo razionali ci rende più somiglianti a Dio, la ragionevolezza dell’essere umano è uno dei segni distintivi che lo rendono somigliante a Dio, e quindi non può essere che essendo somiglianti a Dio siamo distaccati dalla fede: sarebbe una contraddizione in termini!”.

Bisogna insomma uscire da questo equivoco, e anzi comprendere che, nelle parole di padre Placido, “è piuttosto il disconoscimento delle nostre capacità razionali che porta a una fede buttata lì, basata sul niente, fatta di slogan, e proprio per questo molto pericolosa”. Il parroco ha qui in mente quel detto per cui “quando un uomo con un ragionamento incontra un uomo con uno slogan l’uomo con lo slogan è un uomo morto”.

In fondo il motivo di questo è proprio il fatto che il nostro essere razionali ci rende le creature più legate a Dio: “La fatica di lavorare con la mente – ha detto il parroco – è riconosciuta da San Tommaso come grande dono di Dio, e questo è rimanere profondamente innestati nella realtà: è indicativo un altro aneddoto per cui una volta, diventato professore, in classe tirò fuori una mela e chiese agli studenti cosa fosse; quelli lo guardarono un po’ stupiti, finché uno azzardò: ‘Professore, è una mela!’. La risposta fu limpida: ‘Bene, se c’è qualcuno che non è convinto di questo, può accomodarsi fuori!”. Il senso di questa risposta è proprio la centratura del pensiero di Tommaso sulla realtà: “Se non partiamo dalla realtà – ha riflettuto il parroco sulla scorsa di San Tommaso – di cosa stiamo parlando? Pensiamo forse che si possa parlare di Dio prescindendo dalla realtà, dalle nostre facoltà intellettuali?“.

Parlare di Dio, ha insomma fatto ben comprendere San Tommaso d’Aquino, significa riconoscere la realtà di un legame imprescindibile tra fede e ragione. Ma questo, ha fatto notare il parroco, significa anche accettare che non tutto può esaurirsi nel nostro orizzonte: “Da questo punto di vista è interessante quanto si racconta sugli ultimi attimi di vita di San Tommaso d’Aquino sul letto di morte: avrebbe avuto una visione mistica, davanti alla quale tutto quanto aveva scritto, che pure Cristo, apparsogli prima, gli aveva rivelato essere scritto bene, gli parve paglia, corretta, ma sempre paglia, tanto che si dice che ordinò al proprio segretario di bruciare tutto”.

Il segretario, per fortuna, non bruciò nulla, e così ancora oggi possiamo farci ispirare dallo sterminato pensiero di San Tommaso, e proprio da qui viene l’esortazione finale di padre Placido: “Chiediamo a San Tommaso d’Aquino di pregare perché anche noi possiamo accogliere come lui quella luce che illumina la mente e scende nel cuore per scaldarlo e spingerci ad agire bene!”.