
Nella seconda domenica di Quaresima, davanti ai cresimandi, invitati in particolare alla celebrazione, padre Placido ha iniziato la propria omelia dal segno della sedia vuota: su proposta della diocesi, nelle chiese trentine questa domenica è stata posta appunto una sedia vuota, con delle scarpe rosse, a simboleggiare il posto che sarebbe stato occupato dalle donne vittime di violenza, come accaduto alla trentina Deborah, uccisa pochi giorni fa.
“In ogni Messa – ha detto il parroco – confluiscono tante persone, tanti desideri, tante sofferenze e in questa occasione anche delle vicende tristi, quelle di tutte le donne vittime di uomini violenti, che magari dicevano di amarle, di voler loro bene. Il rosso delle scarpe ricorda il loro martirio, ma il rosso è anche un colore appariscente, perché è venuto il momento di affermare che una donna ha il diritto di essere appariscente, e insieme di essere rispettata: bisogna finirla con un certo pensiero stupido, qualche volte forse ripetuto anche nelle chiese, o magari in certa catechesi, per cui la donna dovrebbe sempre stare nascosta, non farsi vedere, e che se trova guai se li è cercati: cominciamo a guardare l’altra sponda, cominciamo a dire a questi ometti che imparino a stare al loro posto, imparino a stare da soli, imparino che una donna non è la serva che ti risolve i problemi o su cui scaricare la tua passione! Purtroppo questa mentalità è ancora diffusissima e se noi pensiamo così non possiamo dirci seguaci del Cristo, proprio lui che ha lasciato un segno nella storia delle religioni per il rispetto che ha avuto di tutte le donne, anche di quelle appariscenti, anche di quelle di malaffare. Con un Maestro così, se noi non riusciamo a rispettare le nostre mogli, le nostre fidanzate, allora c’è qualcosa di veramente grave, e ancora più grave perché passa come se niente fosse: l’uomo che ha ammazzato Deborah era uno di noi, segno che non c’è ancora una coscienza sociale forte della vergogna che deve colpire queste persone. La comunità cristiana deve essere un luogo in cui questo è chiarissimo!”.
Tale lungo inizio potrebbe sembrare slegato dalla Parola di Dio offerta dalla liturgia; ma in realtà padre Placido ha voluto mostrare che è tutto al contrario, e per farlo si è concentrato sulla prima lettura, il famoso brano del tentato sacrificio di Isacco da parte del padre Abramo: “La Parola di Dio ci obbliga a fare un viaggio indietro di tremila anni, per conoscere Abramo, l’uomo a cui Dio disse: esci dalla tua terra e va’, lek lekà, dice il testo ebraico, che si può anche intendere come: va’ verso te stesso“.
Proprio su questo punto il parroco ha riflettuto: “Il padre di Abramo faceva idoli, costruiva statuette, e allora, quando Dio gli dice ‘lascia tuo padre’, in realtà gli sta dicendo: ‘diventa padre di te stesso‘. In questo modo quello che era Abram diventerà Abraham, cioè riceverà in dono la lettera ebraica he, che è la quinta lettera dell’alfabeto ebraico, e il numero 5 indica i quattro punti cardinali a cui si aggiunge l’Uno, cioè Dio. Diventando Abraham allora il grande patriarca può essere davvero padre di tutti i popoli, tutti uniti in Dio: tu, Abraham, sarai padre dall’alto, sarai quello che porterà Dio dall’alto fino alle persone“.
In questo senso si comprende bene come Dio possa promettere ad Abramo che la sua discendenza sarà grandissima: “La discendenza di Abramo, padre dall’alto, sarà davvero come le stelle del cielo: ancora oggi le tre grandi religioni monoteiste, noi, i fratelli ebrei e i fratelli musulmani, ci riconosciamo figli di questo padre. Ma com’è possibile ciò? Ciò avviene perché quel padre seguì il consiglio: va verso di te, diventa te stesso!”.
Qui si innesta il nesso con l’apertura dell’omelia: “Davanti ai drammi che la sedia vuota rappresenta, dobbiamo capire che il problema non è che gli uomini non hanno rispetto delle donne; il problema è che non hanno rispetto di se stessi, non sono diventati padri dall’alto, non sono padri di se stessi“.
La radice di tutto sta dunque nel diventare pienamente se stessi: “Uscire dalla propria terra, lascia il proprio padre, la propria gente, le proprie abitudini: solo in un altrove tu diventi te stesso, e solo affidando il futuro a Dio, come Abramo, che è arrivato ad affidare il proprio unico figlio a Dio. Il cammino spirituale prevede sempre che si esca dalla propria terra, perché l’identità legata solo alle quattro cose che si conoscono da bambini è un’identità fragilissima: chi costruisce così la propria identità non diventa se stesso. Solo quando un uomo o una donna si spogliano del passato e affidano il futuro a Dio, solo cioè quando vivono nel presente, solo allora sono pienamente uomo e donna”.
Ecco dunque che tutto si tiene insieme: “Altro che pensare che la Parola di Dio, la vicenda di Abramo, una storia che ha tremila anni, non c’entra niente con quella sedia vuota: educare ragazzi e ragazze che sanno centrare la propria vita, che capiscono che la loro ricchezza è interiore, che imparano a diventare padre e madre di se stessi: questo è l’obiettivo, affrancarsi anche dai genitori, diventare persone autonome, che hanno dentro di sé la propria guida”.
Alla fine, come sempre, la chiave: “Diventare padre e madre di se stessi: questo rende le persone capaci di affrontare i problemi della vita senza mai essere violenti e soprattutto smettendo di pensare che la nostra vita sta andando male per colpa di qualcun altro: tu sei padre e madre della tua vita!”.