“A Messa incontriamo la luce e la forza del Risorto!”

 “Come sono belli questi incontri con il Risorto raccontati dalle Scritture in questo tempo di Pasqua!”: così ha esordito nella sua omelia padre Placido nella Terza Domenica di Pasqua commentando Luca 24,35-48 e avendo in mente anche il Vangelo della domenica precedente (Gv 20,19-31). E la bellezza di questi racconti è in fondo nel fatto che si rinnovano per i cristiani ogni domenica. “Com’è bello pensare – ha proseguito infatti il parroco – che noi a Messa non facciamo altro che provare a incontrare la luce e la forza del Risorto!“.

“L’omelia pasquale tenuta da Pietro (At 3,13-15,17-19) può sembrarci quasi dura: ‘Avete consegnato e rinnegato [Gesù] di fronte a Pilato, mentre egli aveva deciso di liberarlo; voi invece avete rinnegato il Santo e il Giusto, e avete chiesto che vi fosse graziato un assassino; avete ucciso l’autore della vita’. Parole davvero molto dure, e anche noi qualche volta ci facciamo da soli prediche così dure, magari per una sciocchezza. Ma allora come può Pietro dire queste cose così duramente? Può farlo perché subito dopo scioglie tutto: egli è un uomo toccato dallo Spirito, perché Pietro stesso aveva tradito Gesù, lui stesso l’aveva rinnegato, e così può dire: ‘Io so che voi avete agito per ignoranza‘”.

Pietro, dunque, essendosi anche lui allontanato dal Cristo ed essendo stato perdonato, può individuare nell’ignoranza la causa del male: “C’è sempre una parte di ignoranza nel male che facciamo, anche nel male più grande, nelle grandi cattiverie di questo mondo: anche i grandi della terra agiscono così perché sono ignoranti, ignorano la bellezza del bene, ignorano la forza del tocco del Risorto, ignorano anche se stessi, non sanno chi sono, non sanno che sono figli di Dio. E anche noi alle volte non lo sappiamo, non conosciamo la nostra dignità, non conosciamo la forza della luce della vita che ci portiamo dentro. E per questo continuiamo ad accusarci sempre delle stesse cose, ci diamo addosso, diventiamo tristi, non riusciamo a superare neanche ostacoli piccoli; la mia ignoranza mi impedisce di gioire e di risplendere della luce del Risorto!”.

Se è così, il compito è riconoscere la nostra ignoranza e abbandonarla in favore della Sapienza: “La prima guarigione è uscire dall’ignoranza, e per farlo dovremmo essere più fedeli imitatori di tutta la tradizione ebraica, che mette studio e preghiera sullo stesso livello; e anche la Chiesa Cattolica concede addirittura l’indulgenza plenaria a chi legge la Scrittura per mezz’ora. Allora tu illumina la mente, togli l’ignoranza, leggi cosa dice il Vangelo: ‘Aprì loro la mente per comprendere le Scritture’ (Lc 24,45). Non sottovalutiamo il Vangelo: ci fa capire cose buone, leggere cose buone, conoscere cose vere“.

Il buon annuncio del Risorto è dunque la via di guarigione dall’ignoranza del bene: “Se passiamo ore davanti a una televisione che non fa altro che resoconti delle disgrazie andiamo fuori di testa. Invece esci dall’ignoranza, che è buio, ed entra nella Sapienza, che è luce! Guardate che non è questione di intelligenza; è questione di volontà: una buona lettura, un po’ di bene, una parola ascoltata, perché l’incontro col Risorto è fatto di parola udita e di cibo consumato insieme. Questo è bellissimo, perché ogni volta che incontriamo il Risorto c’è da sentire un annuncio e c’è qualcosa da mangiare, ed è quello che facciamo noi nella Messa“.

Anche la Messa, dunque, è via di guarigione dall’ignoranza: “A Messa c’è la Parola e c’è qualcosa da mangiare. Qualcuno chiederà sorpreso: qualcosa? Sì, qualcosa, perché dipende da te accorgerti o meno di che cosa sia quel pesce arrostito. Nelle apparizioni del Risorto c’è sempre o pane o pesce o entrambi. Al pane siamo abituati, è quello eucaristico; ma perché il pesce? Il pesce, in greco ichtys, indica certo l’acronimo Iesus Christos Theou Yios Soter, cioè Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore; ma il pesce è per i cristiani anche un animale che vive bene nelle profondità e quando viene portato alla luce diventa cibo, un po’ come il Signore Gesù: egli vive bene nelle profondità di Dio ed è venuto a noi per farsi nostro cibo”.

Parola e cibo, dunque, per accogliere il dono della Sapienza che cura dall’ignoranza: “Il brano evangelico di questa domenica è di fatto costituito dagli ultimi versetti del Vangelo di Luca, ma si ferma poco prima delle ultime parole di Gesù, che sono queste: ‘Io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto’ (Lc 24,49); subito dopo il Vangelo si conclude con l’Ascensione e si apre il libro degli Atti degli apostoli, che riparte proprio dall’Ascensione, come una cerniera che conclude il tempo del Cristo Risorto presente corporalmente e fa iniziare il nostro tempo. Sì, perché il tempo dopo l’Ascensione è il nostro tempo: quando Gesù dice: ‘Di questo voi siete testimoni’ (Lc 24,48) l’ha detto a tutti, mica solo a quelli che aveva davanti allora, e quindi anche a noi. E allora ascoltiamo la Parola, che ci porta un po’ di luce, e imbandiamo la mensa, perché quando c’è il Risorto si mangia insieme. Intendiamoci: siamo tutti indegni, perché non possiamo certo dire che meritiamo che il Risorto ci dia da mangiare: è un dono che va accolto con umiltà, così come la sua Parola. Questo significa per noi fare Pasqua”.