Nella XXIII Domenica del Tempo Ordinario padre Placido ha concentrato la propria omelia sul brano del Vangelo di Marco con l’episodio della guarigione del sordomuto. Come sempre l’episodio non è relegato al passato, ma vale per noi, come ha appunto illustrato il parroco:
“‘Ha fatto bene ogni cosa’ (Mc 7,37): chissà se anche noi riusciamo a riposare in questa serena consapevolezza: il Cristo ha fatto bene ogni cosa. Perché se siamo certi che lui ha fatto e fa bene ogni cosa, possiamo guardare anche alla nostra vita con un occhio diverso, possiamo cominciare a riconciliarci con noi stessi, con la nostra storia, con i nostri limiti.
Ponendo questo argine, cioè il fatto che il Cristo ha fatto bene ogni cosa, siamo anche noi avvolti dal bene, ci siamo dentro anche guardando le nostre esistenze, magari con tanti limiti, tanti errori, capovolgimenti, sofferenze: il Cristo nella mia vita sta facendo bene ogni cosa. Questo è l’atto di fede, cioè questo significa avere fede, e non il fatto di credere che da qualche parte dietro le nuvole c’è chissà mai cosa. Fede è sentire la presenza del Cristo nella propria esistenza che sta facendo bene ogni cosa.
Ci vuole pazienza, fiducia; ci vuole l’atteggiamento del sordomuto dell’episodio evangelico: lo pregano altri per lui. Certo lui non era capace di pregare, ma chissà con quale sguardo avrà implorato il tocco del Maestro! Le nostre preghiere non sono invalide perché mancano le parole, ma perché mancano di questo sguardo profondo negli occhi del Maestro. Il sordomuto guarda negli occhi Gesù e a questo punto accade qualcosa di un po’ strano: Gesù ‘lo prese in disparte, lontano dalla folla’ (Mc 7,33). Qui c’è la chiave che apre una porta preziosa: cosa sta accadendo? Il Cristo sta per guarirlo, ma dove lo guarisce? In disparte, lontano dalla folla. Attenzione: tutto ciò che accade nel Vangelo, tutto ciò che è compiuto dal Cristo, è archetipico, è un modello, è l’esempio sul quale viene poi plasmata tutta la storia. Allora quello che accade qui è anche ciò che accade oggi. E cosa accade? ‘Gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua’; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: Effatà!’ (Mc 7,33-34). Si tratta di una delle pochissime parole aramaiche che troviamo nel Vangelo: è la lingua di Maria, la lingua di Giuseppe e la lingua parlata da Gesù, perché oramai l’ebraico si usava solo nella liturgia.
Effatà! Apriti! Finché pensiamo che i miracoli del Vangelo servano a dire quanto era forte Gesù, questo non serve a niente. I miracoli in realtà non sono neanche miracoli: sono segni che danno una direzione. Tu e io siamo quell’uomo e quella donna che hanno bisogno di essere portati in disparte, hanno bisogno di ricominciare a sentire e a parlare. Siamo noi i sordi, ma lo siamo davvero: c’è una sordità diffusa, non ascoltiamo il grido dei poveri, non ascoltiamo il grido della madre terra, non ascoltiamo gli inviti sempre più pressanti che provengono dall’alto e continuiamo con la nostra vita a fare e disfare e accumulare e spendere e tribolare e arrabbiarci. Tu sei quell’uomo che Cristo vuole prendere in disparte per aprirgli l’orecchio: apriti, ascolta una parola diversa.
E la parola che più ci è necessaria è sempre la parola amore: cerca di volerti bene, cerca di volere bene agli altri. Dall’accoglienza della parola diversa nasce una lingua, un modo di parlare diverso. Quanta gente che non riesce a spiccicare parola! Ma non perché non sa muovere la lingua, bensì perché sembra che non abbia niente da dire, da esprimere, perché conduce una vita che non dice niente. Perché sei venuto al mondo? Per dire la tua parola. Ma puoi farlo solo se prima avrai ascoltato, se avrai teso l’orecchio: solo allora sarai in grado di dire una parola forte, nuova, che chi ti sta attorno attende. Forse la tua famiglia sta ascoltando la tua parola, forse tuo marito o tua moglie, forse i tuoi figli. Attendono tutti una parola nuova nata dall’ascolto: ‘Effatà’!
Nel rito del Battesimo a un certo punto il sacerdote si avvicina al battezzando e traccia un segno di croce sulle orecchie e sulla bocca del bimbo e dice proprio: Effatà! Noi facciamo i gesti del Cristo, ma spesso non crediamo più alla loro efficacia, alla presenza di Gesù, alla sua forza: in ogni Messa diciamo di offrire il sacrificio per tutti i peccati del mondo, ma chi le crede queste cose? Se ci credessimo la nostra vita sarebbe orientata in modo diverso!
La speranza, per me e per voi, è di lasciarci portare in disparte, lontano dalla folla, e lì sentire il Cristo che sospirando ci dice: Effatà!“