
Nella XXV Domenica del Tempo Ordinario padre Placido, per l’omelia, ha preso spunto dai dieci giorni precedenti nei quali, invitato dalla comunità locale, ha guidato le riflessioni della novena a San Giuseppe da Copertino, proprio in Puglia nel paese natale del santo, la cui festa liturgica si è celebrata il 18 settembre. Dalla figura di questo santo ha preso le mosse il parroco per far riflettere come sempre ciascuno sulla propria vita.
“Ho trascorso dieci giorni a Copertino, in Puglia, dove ho partecipato alla novena di san Giuseppe. Copertino, paese di 25.000 abitanti in provincia di Lecce, è attraversato dalla vita e dalla santità di quest’uomo, più di quanto avviene ad Assisi con san Francesco. Il paese di Copertino è tutto impastato del suo santo: ogni sera una parrocchia del paese viene alla chiesa di san Giuseppe con parroco, chierichetti e coro ad animare la Messa per ‘Giuseppe nostro’, come lo chiamano loro.
E ‘Giuseppe nostro’ è la testimonianza concreta di quanto sia vero quanto afferma Gesù quando dice che chi crede in lui può fare cose grandissime. Giuseppe era un ragazzo nato in una famiglia, che stava abbastanza bene, sì, ma dove il padre, uomo buono ma – come spesso accade agli uomini buoni – non abbastanza avveduto, si indebita per aiutare un amico e sarà su di lui che si rivarranno i creditori, mentre anche la malattia gli si abbatterà contro.
In questo quadro il piccolo Giuseppe, che vuole farsi frate, viene rifiutato da tutti gli ordini, perché considerato non abbastanza intelligente. Alla fine solo uno zio già frate conventuale farà in modo di ammetterlo nell’ordine francescano. Un uomo semplice, quindi, Giuseppe, che fin da piccolo era stato soprannominato ‘bocca aperta’, perché quando sentiva parlare di Dio restava meravigliato dalla grandezza del Signore e in questa sua meraviglia già da bambino aveva ricevuto ricevuto doni mistici grandissimi, che aveva sempre cercato di nascondere, ma che a un certo punto non poté più dissimulare: a 22 anni ebbe la prima levitazione. Giuseppe, insomma, volava! E ciò accadeva soprattutto quando celebrava la Messa: quando alzava l’ostia Giuseppe si sollevava da terra in estasi mistica!
Questi fenomeni non restarono nascosti a lungo all’Inquisizione, che iniziò a occuparsi assiduamente di quel fraticello, che dà lì in poi verrà sballottato di convento in convento, rinchiuso perché personaggio sospetto, lui che era un uomo così semplice: si racconta che davanti al frate guardiano, che si lamentava che le sue Messe durassero troppo proprio per via delle sue estasi mistiche, e che perciò si dovessero spendere troppi soldi in candele, che restavano accese per ore, san Giuseppe pregò il dono della cera, che presto comparve per la gioia del frate guardiano.
Miracoli semplici e grandiosi: san Giuseppe da Copertino insegna che in una vita evangelica puoi anche essere un niente, ma se ti fidi di Dio riceverai doni meravigliosi, perché diventerai te stesso. San Giuseppe, in effetti, avrà centinaia di grandi fenomeni mistici straordinari e rimarrà sempre quell’umile fraticello. È quel che dice il Vangelo oggi: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti» (Mc 9,35).
Per noi la vita spirituale è qualcosa che sarà in futuro, eventualmente, e al massimo ogni tanto ci diciamo: ci sarà qualcosa dopo. Invece la vita spirituale è già oggi e puoi viverla se non ti preoccupi di diventare il più grande. E credetelo: questa è una tentazione di tutti e forse nella nostra Chiesa c’è ancora di più che altrove: ci si serve di Cristo per farsi strada, alle volte ci si serve persino dei poveri per farsi strada. Giuseppe da Copertino ci insegna che sei hai un cuore povero Dio stesso indica la tua strada e farà con te cose inimmaginabili.
Abbiamo tutto quello che ci serve, perché abbiamo tutto quello che aveva san Giuseppe da Copertino e ogni volta che andiamo a Messa dovremmo rendercene conto. Solo che lui ci credeva davvero. Noi dobbiamo sforzarci di credere davvero. Più vado avanti più apprezzo quella fede che sa perseverare, la fede di chi magari è rimasto anche deluso, pensava che le cose sarebbero andate diversamente, ma nonostante questo crede, si fida di Dio.
Fidiamoci di Dio e siamo certi che nulla andrà perduto, né una lacrima, né un sorriso, né un gesto di bene, né un gesto di perdono. I beni materiali se ne andranno, ma i beni spirituali resteranno per sempre. Non c’è abbastanza stima nelle nostre comunità verso quelle persone che si fidano del Vangelo fino al punto di lasciare tutto: la loro testimonianza è fondamentale. Chiediamo al Signore di metterci nel cuore una fede vera e cominciamo a servire davvero il Signore!”