“Tutti siamo ciechi, ma tutti possiamo anche riacquistare la vista”

Nel Vangelo della XXX Domenica del Tempo Ordinario Gesù guarisce un cieco (Mc 10,46-52), ma padre Placido, nella sua omelia, fa notare che forse sono altre le guarigioni raccontate dall’evangelista. Ecco le parole del parroco:

È un’umanità sofferente quella che sta ai bordi della strada dove passa Gesù. Ho già detto altre volte che all’inizio, prima di chiamarci cristiani, ci chiamavano ‘quelli della strada’; noi insomma dovremmo essere gente che sa, che capisce, che conosce cosa succede lungo la strada.

Forse però alle volte siamo come quella folla che di fronte a un cieco che gridava il suo bisogno, il suo desiderio, il suo implorare amore, gli comandava di tacere (cfr. Mc 10,48); anche noi rischiamo di dire ‘taci, sta’ zitto, non disturbare’. Invece, lungo le vie del mondo, proprio l’umanità che implora un po’ d’aiuto può trasformare il nostro cuore in un cuore che esulta.

Ce lo mostra Gesù con la sua reazione davanti alle grida di quel povero: «Si fermò e disse: ‘Chiamatelo!’» (Mc 10,49). Quant’è bella questa vocazione! Gesù non va lì dal cieco, tutto al contrario: proprio a quella gente che rimproverava il cieco comandandogli di stare zitto, proprio a loro Gesù dice: «Chiamatelo!»: la prima guarigione di Gesù in questo Vangelo è questa, la guarigione del cuore di queste persone giudicanti, che è infastidito dalla presenza del povero; e dopo l’intervento di Gesù il cuore infastidito diventa addirittura un cuore compassionevole, che riesce ad andare dal cieco e dirgli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!» (Mc 10,49).

È un cambiamento repentino: si passa davvero dalla cecità alla vista, dal buio alla luce, e questo avviene grazie alla Parola di Dio. Amici cari, se non ci tocca la Parola  possiamo anche andare a Messa per cinquant’anni e restiamo sempre le stesse zucche vuote! Dobbiamo lasciarci toccare dalla Parola di Gesù e il segno è proprio questo: quando il povero non ti dà fastidio, quando ai poveri corri incontro, quando riesci a dire ai poveri: ‘Coraggio! Àlzati!’.

Intendiamoci, i poveri sono appunto povera gente, non sono tutti buoni: sono poveri, cosa pretendi? Si può pretendere di più da uno che ha tutte le possibilità di vivere bene, di studiare, di capire, da uno che non ha l’impellenza di mettere insieme il pranzo con la cena: da quello mi aspetto che sia un po’ più compassionevole. E invece proprio quello corre troppo per mettere insieme i pranzi e le cene dei prossimi centocinquant’anni, e questo perché non lo tocca la Parola di Gesù, questo perché non ci tocca la Parola di Gesù.

«Chiamatelo!», cioè coinvolgiti, non dirgli che mi lasci in pace! Io che sono il Maestro non lascio in pace te, quindi tu non chiedere a lui di stare in pace! È di fronte a questo interessamento che il povero si alza, anzi, «balzò in piedi» (Mc 10,50): il povero balza in piedi e addirittura getta via il mantello, non lo toglie, lo butta proprio via, e non si alza, ma balza in piedi. Ci vuole una preghiera un po’ più dinamica, bisogna che la preghiera ci tocchi di più: il mantello rappresenta tutto quello che il povero ha: dove si copre il povero la sera? Sotto il mantello; e se piove dove sta? Sotto il mantello; e proprio quel mantello il povero lo butta via: sapeva che lì c’era qualcuno che sarebbe stato per lui mantello, casa, protezione e tutto.

A questo punto avviene per il povero l’incontro con Gesù, che gli chiede: «Che cosa vuoi che io faccia per te?» (Mc 10,51). Noi sacerdoti e noi tutti che siamo la Chiesa pensiamo sempre di sapere di cosa hanno bisogno gli altri; a noi qui Gesù dà una grande lezione: dimmi tu cosa vuoi che ti faccia, sei tu che me lo devi dire, l’importanza dell’ascolto del povero: di che cosa hanno bisogno i nostri poveri? di che cosa hanno bisogno i nostri anziani? di che cosa hanno bisogno i nostri ammalati?

Torniamo ad ascoltarli: di cosa ha bisogno mio marito? di cosa ha bisogno mia moglie? Proviamo ad ascoltare la loro povertà! Proviamo ad ascoltare la nostra povertà! Gesù lo fa, Gesù chiede; e il povero gli risponde: «Rabbunì, che io veda di nuovo!» (Mc 10,51). Quel cieco l’aveva avuta la vista, non è un cieco nato, aveva avuto la vista e poi l’aveva persa. È il cammino di fede di tanti di noi: una volta avevamo le intuizioni buone, ma ci siamo persi, a un certo punto si comincia a vivere la fede come una cosa trita e ritrita, una cosa tra le tante altre; ma poi torna il desiderio di fede: Signore, che io riabbia la vista, che io riabbia la luce! È una preghiera bellissima!

Dammi, Signore, quella luce che forse un tempo avevo! ‘Una volta’, dice la gente; ma lascia stare il passato! Chiedi al Signore che ti dia la luce oggi, perché il Dio vivo è appunto vivo e presente! Chiediamo adesso la luce, per vedere, per capire, per seguire: «subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada» (Mc 10,52). Quando il Signore ci guarisce non è che dà il deposito della fede: dare la vista vuol dire cominciare a camminare, perché i doni di Dio ci mettono sempre in gioco.

È bello questo Vangelo! Prendiamolo con tanta fiducia: sono io quel povero, che forse finalmente grido la mia cecità; sono io quella persona, cui alle volte gli altri dicono di stare zitto, cui do fastidio; sono io quello di cui gli altri non si accorgono; ma sono sempre io anche quello che poi si ritrova al cospetto di Gesù, come qui, nell’Eucaristia. E qui deve sentirsi il mio grido: Gesù, voglio riavere la vista!

Prendiamola con tanta fiducia questa pagina di Vangelo, che viene a dirci che tutti siamo ciechi, ma tutti possiamo anche riacquistare la vista! Invochiamo il Signore con la fede, la determinazione, la totale fiducia di questo cieco!”