Nella sua omelia nella Quinta Domenica del Tempo Ordinario padre Placido ha in qualche modo ripreso il discorso iniziato nelle due domeniche precedenti, seguendo la via tracciata dalle letture proposte dalla liturgia, per scoprire che il peccato della creatura umana di fronte all’infinita santità di Dio non è motivo di allontanamento dal Signore, tutt’altro… ecco le parole del parroco:
“Anche in questa domenica le letture che ascoltiamo offrono un arco di tempo molto vasto: con Isaia, nella prima lettura, siamo circa sette secoli prima del Cristo; poi viene il Cristo e la vicenda di Pietro e degli altri discepoli e infine la testimonianza di Paolo dopo la morte del Signore. Ma in tutto questo arco di tempo, in tutte queste situazioni così diverse, una cosa emerge chiaramente: Isaia, Paolo e poi Pietro confessano la loro miseria, il loro essere peccatori, e questa confessione nasce esattamente nel momento in cui sperimentano la grandezza e la bellezza e la bontà di Dio.
Non ci si sente peccatori perché si è lontani da Dio; ci si sente peccatori quando si comincia ad avvicinarsi a Dio. E più ci si avvicina a Dio più questo senso di inferiorità cresce. Queste vicende allora fotografano anche la nostra esperienza: non siamo qui in chiesa perché siamo meglio degli altri, non veniamo vicini a Dio perché questo ci fa sentire tanto bravi e buoni; tutt’altro: se si fa esperienza autentica di Dio si scopre tutta la propria fragilità.
Tuttavia quando l’esperienza di Dio è autentica questa fragilità smette di essere un problema, o meglio non è più un problema nostro. Paolo arriva dire: «Per grazia di Dio sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana» (1Cor 15,10); e Francesco d’Assisi diceva: «Quello che sono davanti a Dio tanto valgo e non di più, ma nemmeno di meno»; allo stesso modo questo contatto con Dio in Isaia diventa consapevolezza del proprio limite: Dio l’ha chiamato a essere profeta, ma Isaia risponde: «Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono» (Is 6,5), e allora ecco l’angelo che dal fuoco dell’altare prende un tizzone acceso e gli purifica la bocca. Dio non solo ci rende consapevoli del nostro limite, ma anche è Lui stesso che guarisce il nostro limite.
Se sei peccatore non scappare lontano da Dio, perché non guarirai mai; al contrario, proprio perché sei peccatore, cioè malato, avvicinati a Dio, perché non sono i sani che hanno bisogno del medico, dice Gesù parlando di se stesso, ma i malati, cioè i peccatori. Ci sono insomma due forze, una repulsiva e una trattativa, in questa dinamica: quando siamo troppo concentrati su noi stessi finiamo per allontanarci e così tante persone non vengono più in chiesa perché hanno smesso di guardare a Lui e guardano troppo a se stessi e allora si trovano mille motivi per non venire, ci si accorge di tutti i limiti, ci si accorge che si continua a sbagliare, che tante cose si sono promesse e poche ne sono state mantenute e si lascia andare tutto, perché alla fine ci si stanca, perché si pensa che Lui è ‘kadosh kadosh kadosh‘, cioè ‘santo santo santo’, come cantano nel tempio i Serafini, e se Lui è tre volte santo, cioè pienezza di santità, e noi al contrario siamo tutti poveretti, allora tanto vale andarsene.
Ma a questa forza repulsiva si contrappone la vera forza, quella attrattiva: se Dio ha una santità caratterizzata da un amore infinito e ha una preferenza per i più poveri, per quelli che fanno più fatica, per quelli che si sentono più inutili, allora Egli attira a sé proprio i peccatori. Durante la celebrazione della Messa san Giuseppe da Copertino, che aveva combattuto nella sua vita contro così tante avversità e aveva superato così tante forze ostili che era arrivato a superare la forza di gravità e si alzava in volo, appunto stando all’altare e guardando alla grandezza di Dio sentiva tutto il suo limite e faceva voli anche di dieci metri lontano dall’altare, fino a quasi in fondo alla chiesa; poi però pensava che egli era lì perché Dio lo amava e lo aveva perdonato e allora faceva un volo contrario e tornava al Signore.
Sono ovviamente casi speciali e vicende anche personali, però tutto serve a dirci che se pensi solo a te ti spaventi e ti allontani, ma se pensi a Lui, al suo amore, ne senti tutta la forza di attrazione, una forza tale che porta Isaia ad accettare di essere profeta: «Chi manderò e chi andrà per noi?», sente dire Isaia nel tempio, e subito risponde: «Eccomi, manda me!» (Is 6,8); allo stesso modo Paolo scrive: «Io sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio» e così «ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me» (1Cor 15,9-10); e ancora Pietro e gli altri apostoli sulla barca, dopo che avevano fallito e non avevano preso neanche un pesce, si fidano di Gesù.
Sulla barca di chi ha tanto pesce, sulla barca di chi è ricco salgono tutti, mentre sulla barca dei disgraziati ci sale solo Gesù Cristo; tutto comincia da una notte spesa a lavorare come i matti per niente, senza alcun guadagno, tanto che quei pescatori lavavano già le reti, cioè dicevano che era finita, ma proprio da un’apparente sconfitta nasce qualcosa di grande e di nuovo. Non preoccupiamoci quando nella nostra barca sembra non esserci nulla, piuttosto preoccupiamoci quando ci sentiamo sazi e pieni di cose, perché quando noi siamo sazi e ci sentiamo autosufficienti non c’è più posto per Gesù.
Ringraziamo Dio se guardando la nostra vita c’è sempre qualcosa che manca: quello è il posto che occupa il Cristo. Egli sale sulla tua barca perché è vuota, perché è la barca di un uomo o di una donna che non ce l’hanno fatta; sono persone alle quali non sta andando tutto bene, hanno uno spazio nel cuore e proprio quello spazio occupa il Cristo. Ed è per questa forza di attrazione che, conclude il Vangelo, «tirate le barche a terra lasciarono tutto e lo seguirono» (Lc 5,11).
Non diciamo dunque: allontànati da me, perché sono peccatore; al contrario: voglio restare vicino a te proprio perché sono peccatore! Ripartiamo da questa serena consapevolezza; questo tempo difficile chiede anzitutto che ci centriamo sul Cristo: noi non ci centriamo sull’ultimo bollettino televisivo, noi ci centriamo sul Cristo! E questo comporta una grande serenità, un’autonomia di giudizio, e soprattutto una grande fiducia. «Chi vuoi che mandi?» ci dice Gesù; proviamo a dire: Signore, con tutti i miei limiti, eccomi, manda me!”.