Nella Settima Domenica del Tempo Ordinario la liturgia propone un brano di Vangelo tanto famoso quanto esigente, perché Gesù dice: «Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male» (Lc 6,27-28). Parole impegnative, che richiedono altrettanto impegno. Ma come attuarlo? Ha cercato di rispondere padre Placido nella sua omelia:
“La Parola di Dio chiede di essere sempre accolta in un otre nuovo, perché altrimenti entra in conflitto con la nostra vecchiaia, con il nostro modo vecchio di pensare. E così rischiamo di perdere tutto. Ma come possiamo rinnovarci nell’intimo per diventare capaci, cioè accoglienti verso la Parola di Dio?
Paolo ci indica un percorso: «Il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l’ultimo Adamo divenne spirito datore di vita». (1Cor 15,45). Il primo uomo, tratto dalla terra, è fatto di terra, di adamah, la terra appunto, la materia: Adamo porta il nome della materia di cui è fatto; ma divenne un essere vivente: questa terra, ricevendo il soffio vivificante di Dio, la ruah, che è vita e soffio e respiro di Dio, diviene divino. Siamo terra benedetta da Dio che respira!
Ma questo è solo il primo Adamo; noi abbiamo conosciuto anche l’ultimo Adamo, che è proprio quello spirito datore di vita: è stato il Cristo che ci ha donato il suo spirito perché avessimo vita. Il Cristo eterno soffiò il suo spirito perché avessimo vita: tutto è stato fatto per mezzo di lui e in vista di lui, dice in un altro passo Paolo (cfr. Col 1,15-17). Allora noi dobbiamo assomigliare sempre di più a questo ultimo Adamo, essere spirituale, pieno di spirito che dà la vita. Ecco la nostra evoluzione: dalla terra allo spirito, dalla adamah alla ruah, che in ebraico è femminile, quasi l’elemento femminile di Dio, che porta la vita.
Ecco come dobbiamo evolvere, ecco perché una persona spirituale non può dire ‘si è sempre fatto così’! Oggi è il tempo di rinnovarci, di evolvere nello spirito! Alla fine dovremo assomigliare a questo ultimo Adamo: come il Cristo è celeste così saremo anche noi celesti; e come ora siamo simili all’uomo terreno, così saremo simili all’uomo celeste.
Ma non ci sarà compimento se non c’è lavoro, evoluzione, impegno. Questo è il tempo dell’impegno e oggi il Vangelo, la Parola del Cristo, ci richiama al fatto che l’amore è estremamente concreto: non conteranno i grandi discorsi, i grandi ragionamenti. I grandi maestri studiano molto per diventare persone migliori, usano lo studio come mezzo di ascesi, per capire dove sbagliano ed emendarsi; noi magari non studiamo così tanto, ma abbiamo la Parola di Dio che ci guida e oggi ci dà un insegnamento di una forza incredibile: il Cristo aveva prima parlato ai ricchi, ammonendoli, ‘guai a voi’, perché il ricco non ascolta, è già pieno di sé; ma ai poveri, che invece lo ascoltano, il Cristo dice: «Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male» (Lc 6,27-28)!
Sigmund Freud disse che è impossibile amare i propri nemici; e aveva ragione: questa non è opera umana. Qui ci vuole l’intervento di Dio. Ogni volta che restiamo nel bene nonostante il male subito, ogni volta che superiamo con il perdono le inevitabili mancanze, noi agiamo secondo l’ultimo Adamo, l’uomo spirituale, l’uomo celeste. Solo Dio ci dà questa possibilità. E non credete che basti un po’ di impegno: ci vuole invocazione fatta dal cuore, perché questa è opera di Dio: o interviene Dio o non supereremo mai i torti subiti, le cattiverie, tutto quello che la vita inevitabilmente porta con sé.
A questo ci chiama oggi il Signore: «Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta?» (Lc 6,32-33). Signore Gesù, abbi pietà di me! Magari avessi fatto sempre del bene a chi mi aveva fatto del bene! Noi riceviamo da Dio il suo amore, la luce, la bellezza, tutto: facciamo del bene, sentiamo un po’ di gratitudine! Facciamo del bene a chi ci fa del bene, diciamo grazie, non diamo sempre tutto per scontato, in famiglia e in comunità riceviamo del bene, c’è un luogo dove ci vengono perdonati i peccati, dove si predica l’amore di Dio, dove vengono benedetti i nostri morti, dove vengono battezzati i nostri bambini, dove viene santificato l’amore degli sposi: siamo grati per tutto questo oppure no? Questo è il primo compito a cui siamo chiamati: fare del bene a chi ci fa del bene; e come siamo mancanti anche solo in questo!
In secondo luogo siamo mancanti perché alle volte facciamo del male. E qui non possiamo che dire: Signore, perdonaci! A questo siamo chiamati. Solo in terzo luogo il Signore ci chiama a fare del bene anche chi ci fa del male. E questa è solo opera divina e a noi allora non resta che invocare il Signore per questo compito.
Prendiamoci dei momenti di silenzio per entrare fino all’uomo interiore, lì dove si trovano tre parti. Una prima parte è quella che riconosce il bene e il male e sa dire grazie del bene che riceviamo e sa chiedere perdono per tutte le volte che abbiamo fatto del male o non abbiamo fatto del bene: questa parte va allenata! In noi abbiamo poi una una seconda parte, quella che cerca di ricambiare il bene che riceviamo: questa parte va rafforzata!
C’è poi in noi un’ultima parte, la più profonda: è la parte cristica di ognuno di noi, quella parte di noi che riesce addirittura a ricambiare il male con il bene, a fare del bene a chi ci fa del male; questa parte dobbiamo invocarla, perché è la parte in cui si trova Dio, l’unico che può fare in modo che possiamo amare i nostri nemici!”.