“Cerchiamo di essere credibili! Ascoltiamo Sant’Innocenzo!”

La solennità della Santissima Trinità è coincisa quest’anno per l’Unità Pastorale con la festa per il 250° anniversario dell’arrivo a Cloz dalle catacombe romane delle reliquie di Sant’Innocenzo. Alla Messa, cui è seguita la grande processione per le vie del paese di Cloz, padre Placido, intrecciando le due feste, ha riflettuto su cosa è per noi commemorare Innocenzo; ecco le sue parole:

“Perché siamo qui? Se ci fosse Innocenzo qui a parlare, se quell’ometto venisse a dirci due parole, come secondo la profezia di Ezechiele, che vide una radura con le ossa rinsecchite che a un certo punto riprendono vigore, diventano floride e poi crescono la carne e i nervi e si alzano persone rianimate, risuscitate; ecco, se venisse oggi Innocenzo cosa direbbe?

Di Innocenzo non sappiamo quasi niente. Papa Clemente, che nel 1773 lo donò a Cloz, dice che morì innocente e da qui il nome. Allora forse prima di tutto Innocente parlandoci partirebbe dal proprio nome: innocente vuol dire ‘che non nuoce’, non ha fatto del male a nessuno e piuttosto gli hanno fatto del male. Siamo in un tempo in cui dovremmo farci un punto di onore come cristiani per lo meno nel cercare di non fare del male. È ciò che si dice all’inizio del giuramento di Ippocrate che fanno i medici: ‘primum non nocere’, come prima cosa cercherò di non fare mai del male. Non è poco, perché noi non possiamo rivendicare un’innocenza assoluta: chi di noi non ha mai sbagliato? Eppure la Parola di Dio dice che siamo santi e immacolati nell’amore: la nostra non colpevolezza consiste nel fatto che cerchiamo di voler bene.

Per questo la Parola ci dice che la carità, il bene, copre una moltitudine di peccati: puoi anche aver sbagliato, ma l’importante è che tu abbia amato almeno un poco di più. E questo ometto – e scusatemi se lo chiamo così, ma è di una grandissima fragilità, eppure nella sua fragilità ha mosso tanta gente, lui che viene da lontano, da un tempo in cui a dirsi cristiani ci si poteva rimettere anche la vita. Cos’è questa forza che teneva uniti a una vita superiore, alla vita eterna? Non guardiamo con nostalgia a quei tempi, perché è triste quando, per credere in un Dio di amore, devi morire, dal momento che se un fratello dà testimonianza di fede con la vita, ciò vuol dire che un altro fratello, comunque fratello nostro, l’ha ucciso. Insomma: non cerchiamo un tempo di martiri uccisi con la violenza; però sarebbe bello che cominciasse un tempo di un martirio – cioè di una testimonianza, perché questo significa la parola greca – di persone che si vogliono bene e incominciano a mostrare che essere credenti non è fare come gli altri o peggio e poi dire qualche preghiera per sistemare tutto… questo non serve a niente! Lascia pure le tue preghiere e comincia a essere una persona autentica, onesta, fraterna.

Francesco d’Assisi sentì che era venuto al mondo per mostrare una nuova umanità, per testimoniare con la vita cosa voleva dire essere fratelli. E oggi è una grandissima festa, la festa della Santa Trinità, la festa in cui noi diciamo di Dio che è Uno e Trino. Sant’Agostino, che scrisse quel grosso tomo che è il De Trinitate, diceva che definiamo Dio Uno e Trino perché poi in definitiva non sappiamo meglio che cosa dire. Allora questo mistero ce lo spiegano i martiri: l’unità di Dio produce unità dell’essere umano. Il grande male di oggi è la mancanza di consapevolezza: se non sei unificato al cospetto di Dio tu non sai chi sei e nemmeno ti accorgi di quello che fai. La consapevolezza ci unifica e senza questa consapevolezza si compiono cose terribili e non ci si rende nemmeno conto del male che si fa. Non c’è innocenza senza consapevolezza.

Di più: Dio non è un solitario, Dio è relazione d’amore: Dio Padre, quando pronuncia il tu del Figlio, lo dice con un tale rispetto, con un tale trasporto, con un tale amore che questo tu è persona e l’amore con cui lo dice è così reale che anche è persona, lo Spirito Santo. Ma questa unità d’amore non può essere spiegata, perché non è un mistero che ci è stato dato per i nostri poveri cervelli; però è una verità che può essere mostrata, una verità che parla più al cuore che alla mente. Ce l’ha spiegato Paolo nella sua lettera ai Corinzi: cosa vuol dire credere in un Dio che è Uno e Trino? Vuol dire essere gioiosi, farsi coraggio a vicenda, vivere in pace e a quel punto il Dio dell’amore e della pace sarà con noi; ‘salutatevi a vicenda col bacio santo’ dice Paolo e quante prediche avremo fatto nei secoli noi preti nelle quali abbiamo detto di stare attenti a non dare baci: un giorno ti sarà chiesto conto dei baci che non hai dato!

Troppo poco aspiriamo alla consapevolezza: chi si sente impegnato nello Spirito a diventare una persona unificata e autentica? Ed è una cosa che non fai solo per te, la fai anche per un bene da comunicare, da distribuire, un bene con il quale contagiare le persone, sorridendo ed essendo felici. Non dobbiamo essere una comunità triste o di gente che pensa che tanto tutto finirà: 250 anni fa si sono presi un impegno e oggi possiamo dire di averlo mantenuto! Ma se dovessimo guardare con uno sguardo disincantato dovremmo anche chiederci: tra 250 anni ci sarà ancora fede? E tra cinquant’anni si ricorderanno le preghiere, si ricorderanno almeno qualcosa del Vangelo? La risposta è una: dipende da noi. Noi dobbiamo essere una comunità che attrae, perché – insegnava Papa Benedetto – la Chiesa non cresce per costrizione, bensì per attrazione.

Se questo ometto venuto da lontano riesce ad attirare tutti noi, cosa farà una comunità intera credente e amante? Noi accogliamo un cristiano che viene da Roma, un cristiano di cui non sappiamo quasi nulla, ma lo accogliamo, perché è stato un testimone, era uno che credeva. Allora quando arrivano i tuoi fratelli e arrivano magari da lontano e li si trova poi morti annegati e si scopre che alcuni addirittura stringevano una corona del rosario o la Bibbia, com’è che facciamo così fatica a dare a questo mondo una maggiore parvenza di credibilità? Se non c’è questa unificazione che diventa relazione d’amore allora ci spieghiamo le guerre e soprattutto l’egoismo, che è la più grande piaga dell’umanità, la chiusura del cuore. Basta vedere pochi giorni fa: una mamma, Giulia, è stata uccisa col suo bambino di sette mesi in grembo per l’incapacità dei maschi di gestire la relazione col femminile! Se non cresciamo diventiamo analfabeti affettivi, non sappiamo più esprimere e riconoscere i sentimenti e allora si crea una spaccatura e un giovane uomo può pensare di uccidere la seconda compagna per stare con la prima sulla base di una menzogna… dobbiamo stare attenti, perché questo è un tempo di menzogne.

Innocenzo caro, quanto bene ci fai ricordandoci chi siamo! Ogni tanto ricordiamoci che siamo creature amate da Dio, quel Dio che già nella prima lettura viene definito così bene come misericordioso, pietoso, ricco d’amore e di fedeltà: a questo Dio dobbiamo credere. Oggi siamo immersi dall’idolatria: siccome non si crede a niente si finisce per credere a tutto, appena si sente di una presunta visione tutti corrono e quando, di recente, ho fatto notare a una persona che certe strane rivelazioni non mi convincono e mi sembrano cose assurde mi è stato risposto: voi preti non credete a niente… Il problema non è non credere a niente, ma finire per credere a ogni sciocchezza. Ma Innocenzo non credeva alle sciocchezze, perché non dai la vita per una cosa sciocca e neanche per una cosa brutta o cattiva.

Allora grazie a questo martire! Ma mentre lo ringraziamo teniamo presente che i martiri oggi non stanno nelle nicchie: i martiri più importanti sono seduti nei banchi, siamo noi i martiri, i testimoni, perché se noi non diventiamo testimoni è inutile anche portare in giro le ossa di un poveretto di millesettecento anni fa. Dobbiamo essere martiri credibili! Cerchiamo di essere credibili! Ascoltiamo Sant’Innocenzo! Quante cose ci direbbe, ma San Francesco prima di morire disse ai suoi frati: io ho fatto la mia parte, la vostra ve la insegni Cristo Signore. Lo stesso potrebbe dire Innocenzo: io ho dato la vita per Cristo, vedete un po’ quello che dovete fare voi! Prendiamo queste sue parole come un impegno e fra duecentocinquant’anni saremo tutti qui a testimoniare che ce l’abbiamo fatta”.