“Santo Stefano ci insegna un modo nuovo di stare al mondo”

Anche in un anno tanto particolare le comunità di Cloz e Revò, le cui chiese principali sono intitolate al protomartire santo Stefano, non hanno mancato di festeggiare il proprio patrono, cioè, come ha ben tradotto il parroco padre Placido, “il proprio padre nella fede“.

La fede, è chiaro, è quella nel Cristo Gesù, e proprio dal rapporto tra il Signore e il primo che ha dato la vita per annunciarlo, il parroco ha preso le mosse nell’omelia: “Gesù, il Figlio di Dio, è appena nato, e già ci viene presentato uno dei primi che l’hanno seguito, il primo per cui Egli è stato fino alla fine la via, la verità e la vita, e cioè un modo nuovo di stare al mondo“. Questo aveva compreso infatti Stefano: aveva riconosciuto nel Signore Gesù, che pur non aveva incontrato quando camminava per le strade della Terra Santa, “una luce diversa, che non è prodotta dal mondo, non è frutto dell’agitarsi umano; una novità che anche noi possiamo imparare dalla Parola di Dio, che sola può indicarcela”.

Questa luce, ha infatti indicato padre Placido, “è una luce dall’alto, che delinea i contorni di ogni cosa e in mille sfumature ci permette di cogliere la realtà così com’è”. Questa luce si traduce in una persona: lo stesso Gesù nato ancora una volta nel Natale: “Abbiamo gioito ieri per la nascita del bimbo, che ci ha mostrato il mistero della vita, un mistero che non si elogerà mai abbastanza: la vita è qualcosa di incredibile, sempre, quando ti piace e quando non ti piace, quando va come avevi immaginato e anche quando non va come avevi immaginato: la vita è la vita, e questo perché è la vita di quel bimbo di Betlemme”.

Questo discorso potrebbe sembrare a un primo sguardo astratto, ma in realtà è molto concreto e incide pienamente nella vita di ogni persona: “Quando abbiamo problemi con l’esistenza umana, con la nostra esistenza – ha detto il parroco – guardiamo negli occhi il Cristo e diciamo: tu sei la vita, tu sei la mia vita, tu sei la vita così com’è in questo momento”. Da ciò deriva un’obbedienza umile insieme a una rassicurazione chiara: “La vita non può dirsi bella solo quando tutto va bene: ci sono lezioni che tu impari nel buio delle tue notti e non impareresti mai in altri momenti”.

Qui si inserisce la figura di Stefano, che “oggi si pone a noi come esempio di discepolo“. Questo è quanto ci dice la sua storia: “Morto Gesù, gli apostoli cominciano a ritrovarsi con comunità sempre più grandi, e non riescono così a stare dietro a tutti, alle vedove, ai poveri; ma non potevano trascurarli: quelli erano i gioielli delle prime comunità cristiane!”. Non curarsi di loro, dimenticarli, avrebbe in altre parole significato andare contro il Vangelo. Ecco perché “fu necessario che alcuni uomini, scelti da Dio, si occupassero di questo servizio, e così scelsero i primi diaconi, cioè i primi servitori”. Tra questi c’era Stefano, la cui storia insegna appunto come si può riconoscere nella propria vita la luce della vita divina.

“Stefano – ha fatto notare il parroco – comincia portando da mangiare proprio alle vedove, e ciò ci dice che il servizio al Cristo, il discepolato, deve cominciare dalle piccole cose; in convento si comincia lavando piatti e pavimenti, portando su la legna, facendo il bucato: si comincia dalle piccole cose”. In questo senso anche quest’anno così strano può averci portato qualcosa di buono, ha riflettuto padre Placido: “Tanti hanno ricominciato dalle piccole cose, anche nelle nostre comunità: l’aiuto in chiesa, pulire i banchi dopo ogni celebrazione, il servizio in sagrestia… le piccole cose, appunto! Siamo sulla via di Stefano!”.

Si comincia dalle piccole cose, dunque, ma poi il cammino è lungo: “Siamo qui per crescere! E quella stessa vita, che ci ha mostrato il Bambino Gesù e che Stefano ha riconosciuto come la propria vita, ci offre sempre occasioni di crescita”. Ancora Stefano è l’esempio che ce lo dimostra: “Egli arriva al vertice, arriva a compiere miracoli, arriva ad avere una parola dettata dallo Spirito Santo a cui nessuno sapeva resistere!”. La domanda che viene naturale è una: com’è possibile sia arrivato a tutto questo uno che dava semplicemente da mangiare alle vedove? La risposta, esplicitata da padre Placido, è conseguenza diretta di tutta la sua riflessione: “Nella comunità il servizio è divino! Che tu pulisca i banchi col disinfettante oppure stia sull’ambone a fare prediche, fossero anche bellissime, di fronte a Dio non c’è una cosa che valga più dell’altra, perché sono entrambi servizi, perché quello che resta è l’amore che metti in quello che fai!”. Se è così, è chiaro che Stefano possa arrivare al vertice: “A un uomo o a una donna liberi da se stessi – ha chiarito padre Placido – Dio fa fare anche i miracoli!”.

Fin qui, tutto sembra forse perfetto. Ma il parroco ha messo in guardia dal pensare che sia tutto facile, perché, purtroppo, il pensiero del mondo è un altro, e la vicenda di Stefano lo dimostra: “Purtroppo la storia non finisce come penseremmo noi: nel mondo, infatti, se cominci dalla gavetta poi devi comunque arrivare in cima a comandare, se sei stato umiliato devi arrivare in cima a umiliare a tua volta dieci volte di più”. Questo, purtroppo, è il mondo; e chi ribalta questo ragionamento malato viene buttato fuori, emarginato, e infine ucciso, come appunto nel caso di Stefano. “Stefano arriva in cima – ha notato padre Placido – e lì raggiunge la croce! In cima c’è sempre la croce, e così Stefano diventa un altro Cristo, al punto da ripetere: Padre, perdona a loro, perché non sanno quello che fanno!”. Questa è la crescita cristiana, questo è l’apice della vita di chi segue il Cristo: “Il discepolo incontra nel santo bacio del martirio il proprio Maestro, e insieme entrano in cielo“.

Alla croce conduce dunque il cammino del vero cristiano, e nella croce si trova la vita vera, la vita del Bambino Gesù, la vita di Dio. Questo cammino ha dunque infine invitato a percorrere il parroco: “Cominciamo dalle piccole cose e restiamo nel servizio semplice: questa è la via del Maestro, questa è la via che ci libera dalla mentalità mondana e ci dischiude la luce del cielo!”.