“Anche nella più forte delle tentazioni c’è il Signore!”

Nella Prima Domenica di Quaresima, con davanti i bambini di seconda e terza elementare e le loro famiglie, padre Placido ha voluto sottolineare tre immagini, ognuna offerta da una delle tre letture della liturgia.

“La prima immagine che la parola di Dio ci regala è molto bella e consolante, il che potrebbe sorprenderci: cominciando il tempo di Quaresima siamo portati a pensare che sarebbe necessaria un’immagine forte, di richiamo e ammonimento; ma non è così. La prima immagine, invece, è l’arcobaleno, un arco posto tra il cielo e la terra come segno di alleanza, come promessa da parte di Dio che le acque non torneranno più a coprire la terra”.

Un’immagine, in effetti, molto felice, come padre Placido ha mostrato anche citando un’antica leggenda: “Si dice che se trovi il punto in cui l’arcobaleno dal cielo tocca la terra, proprio lì ci sarà una pentola piena di monete d’oro; e siccome le leggende hanno sempre un fondamento, mi piace pensare che lì dove una persona vive la sua vita come un luogo in cui il cielo incontra la terra, quella persona troverà un tesoro e, di più, realizzerà il tesoro che è il compimento della propria esistenza“.

La seconda immagine, tratta dallo stesso brano del diluvio universale e legata all’arcobaleno, è quella dell’acqua: “Commentando l’episodio dell’arca di Noè, Pietro nella seconda lettura dice che ‘poche persone, otto in tutto, furono salvate per mezzo dell’acqua’ (1Pt 3,20). Forse Pietro si sbaglia? Come può dire infatti che furono salvate ‘per mezzo dell’acqua’! Piuttosto furono salvate dall’acqua! Rischiavano di annegare! E invece no, è proprio come dice Pietro: è come per il Battesimo, quando quell’acqua nella quale vieni immerso sembra causa di morte, e invece è causa di vita, perché ti lava dai tuoi peccati; così quell’acqua del diluvio, che rischiava di sommergere tutto, in realtà salva l’uomo, perché se stai sopra l’acqua, quella ti tira su, ti solleva”.

La terza immagine viene dal Vangelo: “Quello di Marco – ha introdotto l’immagine padre Placido – non è solo il primo Vangelo, ma è anche l’inventore del genere letterario Vangelo, un racconto lineare della vita di Gesù a partire dal Battesimo fino alla sua morte e risurrezione: non c’era niente di simile prima e nell’inventare questo genere Marco sceglie uno stile che ha una caratteristica davvero unica, anche tra tutti gli altri Vangeli: la brevità. Questa stessa caratteristica la si vede anche nell’immagine offerta da questo brano: quella delle tentazioni“.

Un po’ come l’acqua del diluvio, anche quella delle tentazioni è un’immagine solo apparentemente del tutto negativa: “Altri evangelisti raccontano molto di più di queste tentazioni, ma non è affatto detto che chi parla di meno, come Marco, dica di meno. Infatti Marco racconta che ‘lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana’ (Mc 1,12-13). Il numero quaranta, per la tradizione ebraica, è il tempo di una generazione, e allora Marco vuole dirci che Gesù non ha avuto semplicemente qualche giorno di tentazione, bensì tutta una generazione, tutta una vita”.

Letto così, l’episodio delle tentazioni sembrerebbe anche più duro, triste e negativo di quanto già non apparisse, e lo stesso sembra suggerirlo anche la notazione per cui, nelle parole ancora di Marco, Gesù ‘stava con le bestie selvatiche’ (1,13); forse, però, ha fatto notare padre Placido, non è così negativamente che queste immagini vanno lette: “Si racconta che molti padri del deserto avessero come compagno di grotta o di cella un animale selvatico, chi una iena, chi un leone, chi un serpente: questo era il segno dei tempi futuri, quando non ci sarà più contrapposizione tra noi umani e tutte le altre creature. Un po’ in quest’ottica possiamo cercare di leggere anche l’episodio del deserto: qui le bestie selvatiche sono certamente le prove, sono certamente la personificazione delle tentazioni; ma l’evangelista Marco non riferisce che Gesù faccia chissà che cosa con quelle bestie selvatiche: semplicemente le osserva“.

Che cosa significhi questa osservazione il parroco l’ha chiarito subito: “C’è una certa spiritualità che impone di scappare dalle tentazioni; la tentazione, invece, va osservata, bisogna cercare di capire cosa sta succedendo, cosa tu vuoi veramente, perché quella determinata cosa ti sta portando via il cuore: guarda, fermati, stai con le bestie selvatiche, non scappare, e vedrai che gli angeli ti serviranno. Questa, in fondo, è tutta la vita cristiana: avere delle prove e attraverso di esse crescere spiritualmente“.

Ecco dunque dove anche l’immagine delle tentazioni rivela il proprio contenuto positivo: “Ogni tentazione – ha spiegato padre Placido – può portare con sé un dono. Sant’Antonio del deserto racconta: ‘Vidi i lacci che Satana tendeva all’umanità e gridai: Signore, con tutte queste tentazioni, chi potrà salvarsi? Mi rispose una voce dal cielo dicendo: Antonio, togli le tentazioni e nessuno si salverà!’. Il nostro modo di crescere è proprio quello di essere provati, e se ci illudiamo di crescere in un altro modo ci stiamo sbagliando”.

Si spiegano in questo modo anche altre due citazioni che il parroco ha fatto dei padri del deserto: “I padri dicevano: ‘Tieni la tua anima all’inferno e prega’. Non dobbiamo avere paura, perché anche nella più forte delle tentazioni c’è il Signore e gli angeli si mettono a servizio di ogni uomo e donna che consapevolmente cerca di avere una vita retta stando attento a ciò che gli accade intorno, ma soprattutto a ciò che gli accade dentro. E così si comprende l’episodio di quel maestro che stava viaggiando sul proprio cavallo e un grosso orso gli si mise in mezzo alla strada; quel maestro, sceso da cavallo, invitò l’orso a mettersi da parte e quello si ritirò; i suoi compagni, che viaggiavano con lui, restarono impietriti, ma il maestro commentò: nessuna persona che abbia fatto un cammino spirituale deve aver paura degli animali selvatici“.

Così anche le tentazioni, passando attraverso l’immagine mediana dell’acqua, possono ricollegarsi, circolarmente, all’arcobaleno, e trovare la loro unità nell’esortazione finale di padre Placido: “Se troviamo un orso nel bosco, certo è meglio se noi non azzardiamo il gesto di quel maestro spirituale! Ma quel che è certo è che di fronte alle tentazioni non dobbiamo avere paura, perché attraverso di esse, per mezzo dell’acqua purificatrice, possiamo arrivare lì dove l’arcobaleno raggiunge la terra: viviamo la Quaresima accompagnati da questi segni e gli angeli ci serviranno!“.