“A Dio sta a cuore la tua vita!”

Nella Quarta Domenica di Pasqua il Vangelo cambia rispetto agli episodi di apparizione del Cristo Risorto che sono stati al centro delle liturgie delle domeniche precedenti, e padre Placido nella sua omelia è partito proprio da questa constatazione: “Oggi ascoltando il Vangelo (Gv 10,11-18) ci si accorge che c’è un cambio di passo: nelle scorse domeniche i brani evangelici erano sempre incentrati sul Cristo risorto che appare ai suoi discepoli, invece questa domenica, quasi a sorpresa, non c’è più il Risorto, bensì il Gesù buon pastore. Questo fatto è importante: è come se la liturgia ci dicesse che è ora che facciamo Pasqua davvero“.

Cosa significa fare davvero Pasqua il parroco l’ha chiarito subito: “Questo è il tempo che quel Cristo Risorto tu lo riconosca, che tu lo percepisca presente nella comunità con la sua funzione di buon pastore. Questo riconoscimento è tanto importante, perché abbiamo bisogno di questo ‘pastore bello’, come dice il testo originale. E qual è la bellezza di questo pastore? La sua bellezza è che egli agisce in conseguenza di ciò che è, in lui azione ed essenza non sono disgiunte, come accade invece nel mercenario: il mercenario fa quello che gli conviene, quello per cui è pagato, e lo fa soltanto finché è pagato e pagato abbastanza; il buon pastore, al contrario, agisce da buon pastore perché egli è il buon pastore, a lui stanno a cuore le pecore”.

Quest’idea del buon pastore, che dona la vita per le pecore, riprende una tradizione antica: “Quella del buon pastore è un’immagine che nella Bibbia è presente fin dall’inizio: Abele è il primo pastore, chiamato da Dio proprio mentre stava occupandosi delle pecore, e la Scrittura dice che Dio lo scelse per il suo popolo proprio perché aveva visto che era capace di occuparsi degli animali, ovvero era in grado di coinvolgersi in quello che stava facendo, sentiva che la vita non si può vivere da mercenari, facendo cioè solo quello che conviene e fintanto che conviene. Purtroppo a volte persino la fede è vissuta così, solo finché mi conviene, finché mi va; ma non è così che vive il buon pastore”.

La vita del buon pastore, dunque, è una chiamata a cui siamo invitati anche noi, per allontanarci da una vita mercenaria: “Il buon pastore afferma di conoscere le proprie pecore, dice che gli importano; possiamo chiederci: qual è l’ultima volta che abbiamo sentito che la nostra vita era importante per Dio? A Dio importa di noi, il dramma è che siamo noi che a volte non ci vogliamo bene, non ci interessiamo di noi stessi, della nostra crescita: c’è gente che è disposta ad aiutare il mondo intero, purché non si vada a toccare la sua vita; ci sono persone disposte a soffrire, ma non cambiare. Al buon pastore, invece, importa che noi tutti stiamo bene, viviamo una vita vera, diventiamo ciò che siamo, In una parola: al buon pastore sta a cuore la preziosità della nostra vita“.

La nostra vita, insomma, è preziosa, ed è questo ciò di cui dovremmo ricordarci guardando al buon pastore, e questo dovremmo annunciare: “È proprio la preziosità della vita di ciascuno che dovremmo insegnare ai nostri ragazzi e ancor prima dovremmo apprendere anche noi: la tua vita è preziosa! Forse non è ancora risolta, forse stai ancora crescendo; pazienza: a Dio sta a cuore la tua vita, Dio ti vuole bene, ti vuole bello come il pastore, che è buono in quanto bello, perché la sua bellezza si identifica con la verità della sua vita”.

Bellezza è bontà, dunque, ed è bontà perché nel buon pastore è verità: “Bontà, verità e bellezza sono tre valori universali, tre valori che vanno sempre insieme: non si dà una vita vera e buona che non sia al tempo stesso anche bella. Portiamoci via questo messaggio: hai fatto Pasqua, hai sentito e annunciato che il Cristo è risorto; adesso riconosci in Gesù Risorto il buon pastore, che va incontrato, ascoltato, amato. E questo non solo dentro il nostro recinto, perché, dice lo stesso buon pastore, ‘ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare’ (Gv 10,16): non c’è nulla di più triste di una comunità cristiana che non fa altro che mettere recinti, recinti e recinti. Il buon pastore va oltre i recinti, egli ha una visione realmente cattolica, cioè universale: entriamo nel cuore e nello sguardo del buon pastore e sentiamoci oggetto di amore e di cura da parte sua!“.