“Gesù sale presso il Padre perché lo sentiamo sempre vivo nel cuore”

“La grande festa dell’Ascensione è preludio alla santa Pentecoste, il compimento del Tempo Pasquale, il coronamento della vita del cristiano: davvero la luce di Pasqua ha bisogno di diventare realtà nella nostra vita“: così padre Placido ha iniziato la sua omelia appunto nella festa dell’Ascensione.

“L’Ascensione parla di una ascesa che diventa una assenza: il corpo glorificato del Cristo sale e, raccontano gli Atti degli apostoli, ‘una nube lo sottrasse ai loro occhi’ (1,9). In questo modo questa festa ci pone un grande interrogativo: è stato un bene o un male che il Cristo sia asceso al cielo? Ragionando secondo le categorie del mondo avrebbe fatto molto più comodo avere qui il fondatore, colui che sa moltiplicare i pani e pesci, colui che sa guarire con un tocco della mano: non avremo più fatto nessuna fatica a mostrare la verità del Vangelo! Tuttavia la logica del profitto, della propaganda, della riuscita in questo mondo non è la logica di Dio; la logica di Dio è che lui si sottrae per lasciar vivere noi, che lui sale presso il Padre perché lo sentiamo sempre vivo nel cuore, che lui non è più in nessun luogo in questo mondo perché crediamo che è dappertutto“.

Sta proprio qui il senso vero di questa festa: “L’Ascensione fa da spartiacque tra una fede fatta di rimpianti, di rivendicazioni, di rimostranze, e invece un atteggiamento nuovo, una nuova dimensione dove Dio è tutto in tutti proprio perché si è elevato nell’alto del cielo. Avrebbe potuto stare sempre qui tra noi, scegliere di stare in un posto, e noi saremmo andati là, oppure avremmo potuto vederlo la sera in televisione; ma questa è una logica assurda. Invece Dio ha scelto di stare nel nostro cuore ed essere vivo e operante una volta che noi siamo entrati in noi stessi“.

Le conseguenze, come sempre, sono molto pratiche: “Per questo noi preghiamo e benediciamo il Signore: questa è la forza del Cristo, questa è la forza della Risurrezione. E allora quegli uomini in bianche vesti (cfr. At 1,10) domandano anche a noi oggi: ‘Perché state a guardare il cielo?’ (At 1,11), la tua fede è solo guardare per aria o è anche incominciare a vivere e operare con la consapevolezza che hai il Cristo nel cuore? Paolo ci ricorda che siamo chiamati a una sola speranza, ‘quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo’ (Ef 4,4-5). Questa sola speranza è insomma l’unificazione: noi siamo tutti frammentati, la nostra fede va in frammenti se non riusciamo a realizzare lo scopo: essere uno“.

Essere uno, è ormai chiaro, significa essere uno con il Cristo: “Se noi ci lasciassimo ricondurre a questa santa unità del cuore, saremmo come una freccia scoccata dall’arciere più attento: andremo diritti verso il bersaglio, proprio perché unificati. E noi sappiamo chi è questo arciere perfetto: il Cristo, che solo può ricondurre il nostro cuore piagato e frammentato a santa unità. E tutto ciò non è teoria, ma si realizza nel quotidiano: Paolo dice ad esempio che volersi bene, amarsi, alle volte significa anche sopportarsi (cfr. Ef 4,2). Davanti all’esperienza concreta è inutile fare tante fantasie, perché sappiamo che le difficoltà sono inevitabili, e anzi noi stessi per primi spesso ci creiamo da soli tante difficoltà. Ma sappiamo anche che possiamo andare avanti nel nome di Cristo, quel Cristo che ‘asceso in alto ha portato con sé prigionieri, ha distribuito doni agli uomini’ (Ef 4,8): il Cristo porta in alto le nostre catene per infrangerle”.

Da tutto questo deriva l’esortazione finale: “Viviamo unificati e così testimoniamo la luce del Signore che è salito al cielo. Diceva il beato Egidio di Assisi che la via di andare in su è quella di andare in giù, e così Gesù Cristo sale per poter scendere nel cuore di ciascuno di noi. Portiamo nel cuore il Signore unificante e viviamo con gioia il mistero dell’Ascensione!”.