La Parola di Dio proposta nella Ventesima Domenica del Tempo Ordinario è assai dura e tagliante e molte volte si cita il fuoco. Così sul fuoco si è concentrato padre Placido nella sua omelia, per far scoprire che proprio il fuoco, quello della fede, può esserci amico. Ecco le parole del parroco:
“’Corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento’: così recita la Lettera agli Ebrei e ci chiarisce subito il motivo per cui ognuno di noi è qui oggi: siamo qui per fissare lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede, cioè sua origine, causa, sorgente infinitamente zampillante; e al tempo stesso perfezionatore, colui che guarda a noi e piano piano porta alla perfezione la nostra fede.
Siamo qui per guardare il Cristo, cioè per metterlo a fuoco. Fuoco è una parola che torna nelle Scritture di oggi. Mettere a fuoco Gesù significa guardarlo com’è, esattamente com’è, e non come vorrei che fosse o come ci hanno raccontato per tutta la vita. C’è bisogno di cominciare a guardare il Cristo per quello che è, non per sentito dire, non per come ce lo siamo immaginati. Ma allora questa operazione è un’operazione divina che nasce dal fuoco che Gesù getta sulla terra. Gesù getta fuoco proprio perché riusciamo a mettere a fuoco, a trovare la forza.
‘Laudato si’, mi Signore, per frate Focu, per lo quale ennallumini la nocte: ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte’, cantava san Francesco. Il fuoco è quello della fede. Ormai la nostra fede assomiglia sempre più a una minestrina riscaldata: ci basta andare a Messa ogni tanto, ogni tanto fare una piccola offerta… il Cristo cerca guerrieri e noi siamo cristiani da INPS, cristiani ormai tutti in pensione! Ma la minestrina riscaldata e tiepida è esattamente il contrario del fuoco.
‘Poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca’, dice il Signore nell’Apocalisse… Noi siamo qui, ma siamo davvero come i discepoli di Emmaus, che incontrando il Cristo sentono il fuoco ardere nel petto? O come quei discepoli che nel giorno di Pentecoste vengono avvolti dal fuoco divino? Sappiamo che alla fine solo ciò che sarà passato dentro il fuoco si salverà?
Come vedete non è facile seguire il Vangelo, ascoltare la parola dei profeti… e chi ascolta più i profeti? Aspettiamo quella profezia che ci fa comodo, quelle rivelazioni che ci tranquillizzano. Ma il Vangelo non è un manuale di bon ton per stare bene in società; con il Vangelo si rischia piuttosto a volte di sentirsi esclusi, perché il Vangelo separa, divide, taglia. Noi non sappiamo più tagliare niente, non sappiamo essere coraggiosi nelle nostre scelte di fede, costi quel che costi. Allora questo fuoco può essere solo invocato: dobbiamo invocarlo e non averne paura, perché alla fine il fuoco brucerà ciò che deve essere bruciato, liberandoci dai troppi nostri sovrappiù.
Un giorno prese fuoco il cappuccio del saio di san Francesco; i frati volevano spegnerlo, ma lui continuava a scappare via, perché non voleva che i frati facessero del male a fratello Fuoco! Sembra una follia, ma qualche anno dopo, quando il medico dovette appoggiare un ferro rovente sull’occhio di Francesco per tentare di curarlo appunto cauterizzandone il nervo dell’occhio, Francesco chiese al fuoco di non fargli del male e, mentre tutti attorno inorridivano sentendo friggere la carne, Francesco, che quell’operazione subiva, non sentiva nulla: fratello Fuoco aveva ricambiato il favore.
Facciamoci anche noi amico questo fuoco santo, per essere degni, un giorno, di entrare nelle dimore dove entra solo chi dal fuoco è stato purificato”.