“Davvero, Signore, tu sei figlio di Dio”

Nella XIX Domenica del Tempo Ordinario il Vangelo presenta Pietro che, finché ha fiducia in Gesù e nella sua parola, anche nella tempesta riesce addirittura a camminare incontro a Lui sull’acqua; da questo racconto è partito padre Placido per la sua omelia. Ecco le sue parole:

“Potremmo partire dalla fine dell’insegnamento di questo brano di Vangelo: una notte, una traversata sul lago durante la tempesta, quando persino il Signore ti fa paura, non sai più chi sia… è un fantasma? è reale? è davvero lui che ci accompagna oppure non c’è nulla? E poi, alla fine, passata la paura, si ritrova la vicinanza di Gesù e si arriva a dire: ‘Davvero, Signore, tu sei figlio di Dio’.

Arrivare alla fine dell’esistenza con queste parole sulle labbra, con una proclamazione di fede sincera, magari dopo averne viste molte e aver temuto per se stessi, dopo aver pensato che forse tutto era sbagliato… quella sera Gesù aveva in qualche modo umiliato gli apostoli obbligandoli a salire sulla barca: avevano moltiplicato i pani e i pesci, la gente aveva mangiato a migliaia e gli apostoli erano stati i protagonisti, dal momento che Gesù aveva loro detto: ‘Date loro voi stessi da mangiare’; chissà come si saranno sentiti grandi, importanti, potenti! E quando era venuto il momento di riscuotere il beneficio di questo grande miracolo, Gesù aveva comandato: adesso salita sulla barca e andate dall’altra parte…

Come il Signore ci vuole liberi! Facessimo anche i miracoli, lui ci vuole liberi! Hai fatto il bene? Bene, prosegui! È lui che congeda la folla, lui sì, perché lo fa da Dio, senza creare sensi di colpa, senza creare sudditanza; uno che ti dà da mangiare in quel modo dopo ti può chiedere quello che vuole: per molto meno l’essere umano poi pretende ringraziamenti, ti fa sentire in debito; il Cristo invece no, il Cristo congeda e invia e libera. E come si arriva a questo? Ci si arriva stando da soli sul monte a pregare con Gesù, come la vicenda del profeta Elia descritta nella prima lettura mostra: Elia era un uomo sanguigno, un uomo di fuoco, che infatti non a caso alla fine della sua esistenza terrena sarà visto salire su un carro di fuoco; Elia per gli ebrei è il vivente, colui che è sempre e che ritornerà, tanto che nella notte di Pasqua gli ebrei lasciano una sedia libera, perché non si sa mai che Elia venga a mangiare; e ai tempi di Gesù qualcuno diceva che Gesù fosse proprio Elia che era ritornato e Gesù aveva smentito e aveva detto che Giovanni era l’Elia che preparava la strada; Elia, insomma, è un uomo forte, importante, un uomo di fuoco, eppure proprio lui impara che Dio non è nel fuoco che divampa o nel vento che abbatte o nel terremoto che squassa: Dio è nel mormorio di un vento leggero.

Come fa Elia a imparare questo? Stando nella grotta, nella semi-oscurità, un’oscurità rischiarata dalla preghiera. Chi prega medita e coglie la verità di Dio e accetta che Dio sia nel mormorio di un vento leggero e che quindi ci vuole attenti, disposti ad ascoltare, e ci chiede, anche dopo i più grandi segni e i più grandi miracoli, di tornare umili, di camminare e ringraziare.

Questo è un grande insegnamento per la nostra vita, anche all’interno della vita familiare, perché sempre, anche nella vita familiare, bisogna ripartire e non avere paura. Ci vuole il coraggio di Pietro: finché guarda Gesù e si fida della sua parola Pietro cammina sulle acque, quando guarda se stesso e comincia a vedere cosa sta facendo si spaventa e va a fondo; anche in famiglia bisogna avere lo sguardo sul Cristo, imparare da lui, rivolgersi a lui, soprattutto nel momento di fatica, nelle notti tempestose credere che quello non è un fantasma, che è presente e se è necessario ci fa persino camminare sulle acque.

Questa è la fede, ma senza una preghiera personale non ci si arriva: chiediamo a Dio il dono della fede, perché anche noi sappiamo chiudere anche questa Messa e questa giornata dicendo: Gesù, davvero tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente!”.