Nel Vangelo della XX Domenica del Tempo Ordinario Gesù fa un’affermazione sconvolgente: io sono il pane di vita eterna. Ma cosa significa questo? Ci ha riflettuto padre Placido nell’omelia; ecco le sue parole:
“‘La Sapienza si è costruita una casa’ dice la Scrittura; e dov’è questa casa che la Sapienza sempre costruisce? Noi visitiamo templi di pietra, ma la Sapienza crea un tempio spirituale nel cuore dell’essere umano e lì, sull’altare di questo tempio, si svolge la grande battaglia tra ciò che è sapienza e ciò che è insipienza, tra ciò che è saggezza e ciò che è stoltezza.
Ci ha ricordato Paolo – valeva per il suo tempo e oggi vale anche di più: ‘Comportatevi non da stolti, ma da saggi, perché i giorni si sono fatti cattivi’. Ogni giorno decidiamo se essere sapienti – e sàpere in latino significa ‘gustare’, ‘avere gusto’, ‘sentire il sapore’, cioè il senso delle cose – oppure essere insipienti, senza sapore, in qualche modo senza sale, senza significato. Quante cose insipienti facciamo? E invece quante volte ci fermiamo a gustare le cose buone? Questo è il grande tema che Gesù tratta e noi abbiamo detto nel salmo: ‘Gustate e vedete com’è buono il Signore’: Dio è una cosa buona e se riconoscessimo Dio come qualcosa di buono allora – dice Gesù – ci nutriremmo del pane di vita.
Infatti Dio non è solo buono sentimentalmente, ma diventa buono nella sua concretezza di pane e di vino e questo pane dà la vita eterna: ‘Chi mangia di me vivrà per me’. In questa Messa scegliamo di nutrirci di questo pane di vita; e il problema non è se siamo abbastanza buoni da meritarlo, perché nessuno può meritarlo; il problema è se siamo abbastanza affamati e consapevoli da dire: Signore, tu hai parole di vita eterna, tu sei il pane di vita eterna. Chiediamo al Signore di metterci nel cuore questa fame e il desiderio di gustare in questa Santa Messa la dolce fragranza della sua Parola e del suo pane di vita”.