Quella del 17 gennaio è la prima vera domenica del Tempo Ordinario, anche se viene chiamata seconda, per il fatto che la prima è sostituita dalla festa del Battesimo di Gesù, che conclude il Tempo di Natale. In effetti, ha detto padre Placido aprendo l’omelia “siamo appena usciti dalla luce gloriosa del Natale e già comincia un cammino nuovo, e la prima tappa di questa cammino è in realtà stanziale, anzi addirittura di sonno, di riposo”.
Il riferimento di padre Placido è alla prima lettura della Messa, in cui Samuele dorme nel Tempio e viene svegliato dalla voce di Dio, che insiste nel chiamarlo: ‘il Signore chiamò’, ‘il Signore chiamò di nuovo’, ‘il Signore tornò a chiamare’, ‘il Signore stette accanto a lui e lo chiamò come le altre volte’ (1Sam 3,3-10.19). “Il nostro Dio – ha affermato il parroco – non si stanca di chiamarci; ci vuole discernimento, perché non è subito facile capire che è Dio a parlare, ma è certo che il Signore non si stanca di chiamarci, e se per Samuele questa chiamata è una voce che lo scuote nel cuore della notte, le nostre chiamate avvengono nel quotidiano, avvengono in certi passaggi della vita, avvengono nelle situazioni liete e gioiose, o anche in una situazione faticosa: in ogni momento Dio può pronunciare il nostro nome”.
Proprio sul nome si è concentrato a questo punto padre Placido: “Non dobbiamo mai temere, perché il Signore vuole vincere la nostra sordità, e perciò quando chiama lo fa in modo deciso, la sua chiamata è sempre un segno della sua presenza amorevole accanto a noi: il Signore non chiama con un fischio, distrattamente, Egli chiama per nome, con attenzione, perché tutti siamo preziosi ai suoi occhi”. Quella di Dio non è dunque una chiamata generica: il Signore ci conosce per nome, di persona, infatti, ha detto padre Placido, “nel salmo 39 si legge che ‘nel rotolo del libro su di me è scritto’: ognuno di noi deve poterlo dire ogni giorno: nel rotolo del libro sacro, che solo Dio può sfogliare, è scritto di me, la mia vita è preziosa, unica, irripetibile”.
La vita di ciascuno di noi è dunque preziosa perché è preziosa agli occhi di Dio, e in questo senso padre Placido ha invitato a leggere anche la seconda lettura della liturgia, tratta dalla prima lettera di san Paolo ai Corinzi: “Paolo sottolinea la preziosità della nostra vita nel suo aspetto più fisico, materiale: ‘Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo?’ (1Cor 6,15.19): alle volte sembra che non lo sappiamo”.
In altri termini, non comprendiamo fino in fondo cosa significhi che il nostro corpo è tempio dello Spirito Santo, quello stesso tempio in cui Samuele riposava e dove ricevette la chiamata del Signore. In che senso non lo comprendiamo padre Placido l’ha spiegato chiaramente: “Quando leggiamo le parole di Paolo, che dice: ‘State lontani dall’impurità! Qualsiasi peccato l’uomo commetta, è fuori del suo corpo; ma chi si dà all’impurità, pecca contro il proprio corpo’ (1Cor 6,18), rischiamo di banalizzare: qui non si sta parlando di una sessualità disordinata, bensì di quell’impurità profonda che è la mancanza di rispetto verso il disegno di Dio, quell’impurità che non coglie la sacralità, quell’impurità che nulla ha a che vedere con la sessualità, ma è l’impurità dei corpi sfatti di giovani, e anche meno giovani, dediti alle sostanze, all’alcol, al gioco; è la mancanza del senso della dignità della tua vita!”.
Purtroppo questi non sono discorsi teorici, come ha ben chiarito padre Placido: “Violenze, torture, diffamazioni: oramai abbiamo visto che tutti i mali che credevamo passati sono tornati: questi sono peccati di impurità, questo è non rispettare il corpo che è il tempio dello Spirito Santo”. Proprio riconoscere la presenza dello Spirito Santo è il segreto per non cadere in questi peccati, e l’esempio lo offre il Vangelo della domenica: “Giovanni Battista, che l’aveva battezzato, vede passare Gesù, e lo guarda con un tale amore che dal profondo gli viene da dire: ‘Ecco l’agnello di Dio!‘; avrebbe potuto dire mille cose, ma sceglie questa immagine così umile, un agnellino mite, indifeso, tenero, che non mette nessuno in imbarazzo”.
Giovanni riconosce insomma in Gesù il Santo di Dio, riconosce la divinità in quel corpo, in quella persona che cammina; e questo riconoscimento avviene con un tale trasporto da parte del Battista, ha affermato padre Placido, che addirittura i suoi discepoli decidono di seguire il Cristo: “Andrea e un altro discepolo di Giovanni Battista addirittura lasciano il proprio maestro per seguire il nuovo, unico, vero Maestro: Cristo Gesù”.
Tutto questo non è qualcosa che resta sulla carta, qualcosa di astratto, ma, come tutto quanto ascoltiamo a Messa, deve servirci, deve incidere sulla nostra vita. Ecco perché il parroco ha concluso la sua omelia proprio esplicitando le implicazioni che questa riflessione ha per ciascuno di noi: “Sei prezioso perché sei chiamato per nome, il tuo nome è scritto sul rotolo del libro, e se sei chiamato, a te sta rispondere, seguire l’agnello di Dio: portiamoci via queste belle cose dalla Messa, questa grande consolazione, che ci arriva in un momento difficile e faticoso; e ogni giorno, andando a dormire, diciamo grazie al Signore per la preziosità della nostra vita, di quella di nostra moglie, di nostro marito, dei nostri figli, dei nostri nipoti; diciamo grazie al Signore, sentiamo la santità che Egli mette tra noi, guardiamo l’agnello e impegniamoci a seguirlo!”.