
La Settima Domenica di Pasqua è la festa dell’Ascensione; questa festa, in realtà, cadrebbe di giovedì, quaranta giorni dopo Pasqua. Qual è il senso di questa festa? Su questo ha riflettuto padre Placido nell’omelia; ecco le sue parole:
“Come è importante questa tappa del nostro cammino pasquale! Ah, se noi riuscissimo a sentire che la nostra vita è un procedere nello Spirito, che ci sono dei passaggi che ci aiutano a crescere, a migliorare, a diventare più aderenti alla verità del Vangelo! L’Ascensione è certamente una di queste tappe: quaranta giorni dopo la Pasqua (noi infatti la celebriamo oggi, di domenica, ma la festa è caduta già giovedì). Ci siamo abituati a capire che quaranta è un numero simbolico, significativo: è il tempo che serve per la preparazione a un nuovo inizio: i quarant’anni nel deserto del popolo di Israele, i quaranta giorni di Gesù nel deserto prima della sua missione e ora noi, quaranta giorni per essere preparati a diventare testimoni del Risorto.
È questo che accade in questa meravigliosa sintesi del tempo pasquale che ci viene proposta da Luca alla fine del Vangelo e poi all’inizio degli Atti degli apostoli; l’abbiamo sentito appunto nel Vangelo e nella Prima Lettura di oggi: è lo stesso racconto, ma, a leggerli con attenzione, ci sono delle differenze. Come mai queste differenze? Le differenze servono a domandarci: cosa stai cercando? Forse una cronaca di quello che è accaduto? Stiamo parlando di cose meravigliose, divine, allora se c’è una differenza è per dirti: credevi di aver capito? Guarda anche lì, tieni presente anche quest’altro aspetto, immergiti in quest’altro lato della verità! Non ti basterà la vita intera per cercare non dico di comprendere, ma di essere compreso da questa luminosa verità. Questo è il senso del racconto, questa è la differenza tra le parole umane e la Parola di Dio: la Parola divina ti prende, ti avvolge, non puoi usarla come uno strumento tuo, altrimenti la profani! La Parola di Dio parla di te e ti dischiude un orizzonte.
Ecco allora il senso bellissimo di questa festa: come dice la Lettera agli Ebrei, Cristo oggi non entra in un santuario fatto da mani d’uomo, ma nel Cielo stesso. Cos’è il Cielo? Gli angeli dicono agli apostoli: non starete mica a guardare in cielo? Gesù li porta verso Betania, che è il luogo dell’amicizia, della familiarità, lì c’erano i suoi amici e a Betania li precede, perché è quello che fa il Cristo durante tutta la nostra vita: ci precede. Se sei discepolo hai sempre il Maestro che ti precede; e se vai dietro ad altri maestri, il Cristo ti aspetta e spera che tu torni. Allora questo andare in alto da parte del Cristo non è allontanarsi. Il Cielo non è il contrario della terra; noi vediamo spesso la terra come l’antitesi del Cielo: finché siamo qui ci occupiamo della terra, facciamo i nostri interessi, magari cerchiamo di accaparrarci più terra possibile e poi un domani andremo in Cielo e al massimo su questa terra ogni tanto ci ritagliamo dieci minuti per dire una preghiera e così ci convinciamo di aver sistemato il Cielo. Invece il Cielo nutre e illumina la terra, oggi noi siamo stati nutriti dal Cielo, la luce è nutrimento, perché senza la luce non crescerebbe niente.